By Marisa Salabelle

Kop sta tornando a casa da scuola. Sono le 13.42: il cielo ha un colore biancastro, il sole, sbiadito, non scalda neanche un po’. Kop si mette le mani in tasca – lo zainetto gli pende sghembo dalla spalla sinistra – e prende a calci una lattina di Pixo-cola tutta accartocciata. Non ha fretta: è da molto tempo, ormai, che il quiz delle 13.30 sulla prima rete nazionale non lo entusiasma più, così come non lo attira il telefilm delle 13.40 sulla seconda; nemmeno “Giudica tu stesso” su “La nuova tele”, gli spogliarelli a ripetizione su Isteric TV e il programma non-stop “Ti stiamo sempre incollati” sulla piccola ma zelante TV locale riescono a suscitare in lui il benché minimo interesse. A furia di calci, Kop e la lattina di Pixo sono arrivati a casa: i cinque televisori funzionano, come sempre, a pieno regime.
“Ciao”, dice Kop entrando. Gli risponde una marcetta che inneggia al gusto “amaronzolo” di un nuovo aperitivo.
“Come va?” domanda un po’ a tutti.
“Come vuoi che vada”, gli risponde Calinda, sua sorella, con voce di pianto: “Frank e Guendalina hanno deciso di divorziare, Jacob è in galera per bancarotta fraudolenta e la bambina sta morendo senza che nessuno l’assista!”
“Quale bambina”.
“Come quale bambina! Quella malata di leucemia! La figlia di Guendalina!”
“Di Guendalina e Frank?”
“Ma no, cretino, di Guendalina e Harry, ma quante puntate ti sei perso?”
“Credo di non averne vista una da almeno tre mesi”.
“E allora che domandi, stupido, se non sai la storia! Mi stai facendo perdere tutto!”
“Va bene, va bene. Facevo così, per parlare”.
“Idiota”.
Kop si dirige verso la cucina.
“Ciao mamma. Che c’è da mangiare?”
Sua madre sta consultando un volume dell’enciclopedia “Domanda di riserva”, indispensabile per chi vuol partecipare ai quiz televisivi con qualche probabilità di successo.
“Non lo so, tesoro, guarda nel frigo. Questo qui vuol sapere il nome di battesimo di Buddha”.
“Non credo che Buddha fosse battezzato”, dice Kop, e intanto estrae dal frigorifero un pezzo di salame rancido e del formaggio coperto da una muffa verdastra.
“Non dire sciocchezze, Kop. Se chiedono il nome di battesimo, vuol dire che un nome di battesimo ci dev’essere. Tutto sta a trovarlo più in fretta di qualcun altro”, gli risponde sua madre, che con la mano destra sta già facendo il numero di telefono apparso or ora sul video, mentre con la sinistra sfoglia freneticamente il volume A-CAB dell’enciclopedia.
Kop apre la credenza e prende un pezzo di pane raffermo. Strano, riflette: la muffa del formaggio è umida, compatta, un po’ vischiosa, invece quella che cresce sul pane è impalpabile, filiforme, e molto più asciutta. Forse avrei dovuto studiare più attentamente quel capitolo di scienze, pensa.
“E’ libero! E’ libero!” rantola sua madre.
“Lo sai il nome?” le chiede Kop.
“Che importa il nome, adesso; l’essenziale è aver preso la linea. Pensa che non ci riuscivo da… Sì? Pronto? Pronto? Porca miseria! E’ caduta… maledetti telefoni!”
“Non ci sarebbe qualcosa di meglio, mamma? Questa roba è andata a male”.
“Apriti una scatoletta di Suino”.
“Sempre questo dannato Suino. Sono mesi che non mangiamo che Suino! Perché non compri qualcos’altro, di tanto in tanto?”
“Ma lo sai che sei un bell’egoista?” gli risponde la madre distogliendo per un attimo gli occhi dal teleschermo. “L’hai avuto tu, il tuo pigiama, grazie a Suino, no? E perché tua sorella dovrebbe rinunciare alla camicetta, ora che le mancano solo sessantuno prove d’acquisto?”
“Okay, okay”.
Kop prende la scatoletta di Suino e una forchetta e si siede su un angolo del tavolo. Da qualche anno, ormai, in casa sua, non si compra altro che prodotti alimentari, saponi e detersivi. I suoi genitori hanno scoperto che pilotando in modo intelligente l’acquisto di tali prodotti è possibile procurarsi qualsiasi altra cosa di cui si abbia bisogno. Ogni pacco di pasta o di biscotti, infatti, ogni confezione di bagnoschiuma, ogni fustino di detersivo dà all’attento consumatore la possibilità di ottenere beni accessori di ogni sorta: servizi di piatti e di bicchieri, capi d’abbigliamento, pupazzi di peluche, videogame e asciugacapelli a pila.
Esistono tre modi diversi per entrare in possesso di simili allettanti articoli: il primo modo, il più facile, è quello che consiste nell’appropriarsi repentinamente del regalo incorporato al prodotto: basta arrotolarsi la manica della camicia e tuffare il braccio nel sapone liquido o nel passato di pomodoro, rovistare nella farina o cercare tra le merendine il pacchetto sigillato che contiene una minuscola radiocuffia, un orsetto di gomma, una spazzola elettronica che fa la permanente meglio della tua parrucchiera di fiducia.
Il secondo metodo, il più eccitante, consiste nel tentativo di vincere qualcosa. Si tratta di grattare una superficie argentata, di staccare un talloncino adesivo, di spedire una cartolina: e se si ha la fortuna di trovare sotto la vernice o il talloncino la scritta giusta, o che la propria cartolina venga estratta fra decine, centinaia di migliaia di cartoline, si vincono automobili, pellicce, case al mare. La mamma di Kop ha un atteggiamento incostante nei confronti di questo genere di iniziative: in certi periodi, presa da una sorta di frenesia, imbeve d’alcol un batuffolo di cotone e strofina sul rettangolino verniciato d’argento, che potrebbe celare il simbolo della fortuna; strappa il margine seghettato di una busta sigillata, che potrebbe contenere preziosissimi documenti; guarda sotto il tappo delle bottiglie e scruta l’interno dei rotoli di carta igienica: una o due volte ha vinto, effettivamente: un ciondolo d’argento dorato a forma di pesce (doveva essere stato messo in palio da una marca di tonno in scatola) e una bilancia pesapersone, che arrivò a casa lo stesso giorno in cui ne giungeva un’altra identica, guadagnata coi punti dei grissini Snell. Ma ci sono anche dei periodi in cui la mamma, delusa forse dalla scarsità delle vincite, trascura i concorsi a premi: allora non si vedono più in giro i batuffoli di cotone sporchi di vernice, i tappi delle bottiglie vengono buttati via senza essere stati degnati di un’occhiata, le buste gonfie di documenti preziosissimi imboccano il bidone della spazzatura senza essere neanche aperte. Sono tempi oscuri, tempi di pessimismo e di sfiducia, sono momenti in cui la fortuna potrebbe passare a un metro da noi e noi nemmeno saremmo in grado di riconoscerla.
Esiste infine un terzo metodo, che richiede costanza e precisione, ed è quello della raccolta dei punti. Qualsiasi confezione di qualsiasi prodotto reca stampati, in un angolo, dei punti: bisogna ritagliarli con le forbici e incollarli su apposite cartelle: completata la raccolta, si ha diritto a un regalo. Esistono tanti punti diversi, che appartengono ad altrettante raccolte: i fiorini e i gigliotti, le paperine, le bolle, i bucatozzi. L’importante è non far confusione, tenere separate le cartelle ed incollare ogni tagliando sulla tessera giusta. La madre di Kop, è lei che tiene la contabilità e aggiorna le cartelle ogni settimana: sa sempre con esattezza quanti punti occorrono al completamento di ognuna di esse, entro quale termine vanno spedite, qual è il regalo che si otterrà con ogni tipo di prodotto. Tutti i servizi di piatti, bicchieri, posate; le tovaglie e le pentole; gli asciugamani, i pigiami e la biancheria di ciascuno, le lenzuola, gli zainetti per la scuola e i borsellini e un’infinità di altre cose che sarebbe difficile ora elencare sono stati ottenuti in questo modo. Ciò naturalmente richiede un impegno non indifferente: la mamma dedica gran parte del suo tempo non solo a ritagliare, distribuire, incollare, ma soprattutto a programmare gli acquisti in funzione degli obiettivi che intende raggiungere. Calinda ha bisogno di una felpa? Ci sarebbe quella dei biscotti Ipsilon: occorrono ancora ventisei punti ed il termine ultimo per l’invio è – vediamo – tra una settimana. Bene: si corre al supermercato e si comprano sette pacchi “granfamiglia” di biscotti, che valgono tre punti l’uno, e cinque confezioni di fette biscottate, si completa la scheda coi punti, si scrivono in stampatello nome, cognome e indirizzo, non ci si dimentica di indicare la taglia ed il colore desiderati, e si spedisce. Bisognerà aspettare un mesetto, ma Calinda avrà la sua felpa. Servono tazze per la colazione, forbici da giardino, scatole di pennarelli per Spic e Span, i gemelli di undici anni? Basta cercare, fra le tante cartelle avviate, qual è quella adatta alla bisogna, completarla alla svelta e spedire. Con un’attenta pianificazione si può avere tutto ciò che serve senza ulteriori spese. Naturalmente qualche volta si può sbagliare: come quella volta che la mamma comprò cinquanta barattoli di piselli in scatola che sarebbero scaduti di lì a tre anni e li sistemò ordinatamente su uno scaffale della dispensa: altre provviste, acquistate in momenti successivi, nascosero alla vista le lattine, che furono completamente dimenticate e ritrovate solo qualche mese fa, coperte di polvere, rugginose, rigonfie, e dovettero essere buttate nella spazzatura; o quando si accaparrò quello stock di cioccolatini ripieni di yogurt che non piacquero a nessuno; altre volte è capitato che i regali tanto sospirati e faticosamente guadagnati si rivelassero dei bidoni, come i calzini a strisce gialle e rosa, eccessivamente vistosi per il babbo, l’unico della famiglia a cui stavano; la borsa per fare la spesa che si sfondò sotto il peso di un cartone di latte e di un sacchetto di arance, la tuta scombinata che aveva i pantaloni taglia 54 e la maglia piccolissima, una 38. Ma in fin dei conti sono errori che capita di fare, come dice la mamma, che poi aggiusta tutto: della tuta ha considerato i due capi separatamente ed ha assegnato la felpa a Spic, regalando i pantaloni a zio Peppino, che coi suoi 91 chili li riempie a meraviglia; coi calzini ha fatto delle allegre presine e i cioccolatini li ha portati alla festa parrocchiale, dove hanno riscosso un successone; quanto ai piselli, be’! Bisogna dire che erano stati comprati da tanto di quel tempo e che i soldi spesi in quell’investimento erano ormai così lontani, che non è sembrata a nessuno una perdita economica il doverli buttar via.
In fin dei conti, pensa Kop, l’organizzazione che la sua famiglia si è data non è meno efficiente di quella di altre famiglie che lui conosce: la mamma, che ne è il cervello, nel corso degli anni ha affinato sempre più le sue capacità, prevedendo le necessità di tutti e studiando i tempi in modo quasi perfetto: non fa mancare niente a nessuno e a prezzo di qualche piccolo disagio riesce a risparmiare un sacco di soldi. Perché comprare, dice lei, le stesse cose che con un po’ di pazienza e un minimo di pianificazione si possono avere gratuitamente? E tuttavia, ultimamente Kop si sente un po’ strano. Gli vengono delle idee, delle voglie che non aveva mai provato. Passa davanti a una vetrina, vede una felpa blu che ha sul davanti la stampa di un aeroplano, e gli vien voglia di entrare, di comprarla e di mettersela addosso. Nota, al polso di un suo compagno di scuola, un nuovo orologio modernissimo e prova un’improvvisa antipatia nei confronti del suo, trovato in un fustino di detersivo per lavastoviglie. Odia la sua borsa da ginnastica che porta, ai lati, la scritta “Dadi Dodo” ed è arrivato al punto di andare a scuola in ciabatte anziché mettersi le scarpe da tennis della Pixo-cola.
“Mamma”, prova a dire timidamente, “ho visto una felpa blu con un aeroplano stampato. Mi piacerebbe comprarla”.
“Con quali punti si prende?” fa sua madre distrattamente, perché sta cercando di risolvere un difficile rebus televisivo. Un altro guaio è questo: in casa non si può parlare con nessuno, tutti stanno sempre a sorbirsi qualche programma televisivo. Kop passa davanti al bagno: ne provengono voci concitate: è il telefilm poliziesco delle 13.40 che suo padre non si perde mai e che coincide curiosamente con l’espletamento delle sue funzioni corporali.
“Quasi quasi mi butto sul letto”, pensa Kop e si dirige verso la camera che divide coi gemelli, non senza aver notato, passando, che persino in salotto c’è un televisore acceso: un uomo con gli occhiali e un’espressione sciocca sta parlando a raffica senza che nessuno lo ascolti: la stanza è deserta. Giunto sulla porta di camera, già con la mano sulla maniglia, si arresta: rumori terrificanti e lampi metallici provengono dall’interno: è la nuova serie di cartoni animati neozelandesi che Spic e Span seguono assiduamente.
C’è poco da fare. Kop decide di uscire. Sulla soglia di casa ritrova il barattolo ammaccato di Pixo-cola e lo spinge a calci fino alla quarta porta a sinistra. Suona il campanello. Gli apre una ragazza col viso pulito, la pelle liscia come una saponetta. E’ Rexona, la sua compagna di banco. Lo accoglie con un sorriso:
“Vieni dentro, presto. Sta per cominciare ‘Amarsi svisceratamente’, non possiamo perdercelo!”




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