Cap. 1 LE DUE MARIE 1b – Maria Gravina


Anche l’altra Maria non ebbe una sorte molto fausta. Le due Marie non erano come le altre donne, quelle di cui mi sentivo così gelosa, un sentimento che ho sempre dovuto tenere ben celato perché il Divino odia le donne che si mostrano troppo possessive e non riescono ad apprezzare il suo ideale narcisista di “essere infedele a una donna fedele”.

La nobildonna siciliana Maria Gravina, moglie del conte Anguissola di San Damiano, alta, slanciata, bellissima, poteva vantare tra i suoi corteggiatori persino il futuro re Vittorio Emanuele III.
Si dice che avesse una sorprendente ciocca rossa tra i suoi capelli corvini : quando scuoteva la testa sembrava portare il “segno di una ferita”.
Dapprincipio non era stata per niente colpita dal mio Vate e stentava a credere che quell’omino basso e stempiato fosse l’autore di un’opera mirabile come “Il piacere”. Purtroppo era infelice, irrequieta e molto delusa da un marito che non si prendeva cura di lei. La condizione migliore per aprirsi a un nuovo amore e la corte serrata di Gabriele la fece capitolare totalmente.
Al tempo Maria aveva già una trentina di anni e quattro figli, ma decise di abbandonare gli agi della sua ricca vita familiare per ridursi a vivere momenti che Gabriele definiva aulicamente “di splendida miseria.”
Un’efficace mossa tattica di Gabriele era stato dedicare a lei il suo nuovo romanzo “L’Innocente”, scritto durante la sua relazione con Barbara Leoni, che in realtà si chiamava Elvira, anche lei sposata e frustrata. Mi hanno detto che il giorno in cui era andata da lui a Napoli per celebrare l’anniversario del loro incontro, Barbara scoprì casualmente, nascosto in un cassetto, un biglietto della Gravina e, arrabbiata, se ne andò immediatamente.
Il giorno dopo la perfida donna di servizio di Gabriele fece quello che io non mi immaginerei neppur lontanamente di poter fare: le inviò una velenosa lettera anonima in cui le parlava degli incontri di Gabriele con la Gravina, proprio in quella casa. Ma l’infamia più grave fu che la informò anche della prossima uscita de “L’Innocente” con la dedica a Maria.

Il romanzo narra la storia del dandy Tullio Hermil, costantemente infedele alla sua paziente e amorevole moglie Giuliana (che assomiglia un po’ alla moglie Maria e un po’ all’amante Barbara), fino a quando la moglie alla fine fa lo stesso. Da quell’unico sofferto adulterio nasce un figlio e Tullio è costretto a vivere con quel bambino non suo. Il suo odio arriva al punto di farlo morire di freddo, mettendolo fuori dalla finestra, al gelo, la notte di Natale.

Anche se aveva iniziato una relazione con Maria, Gabriele continuò a restare in contatto con Barbara, riuscendo anche a persuaderla della totale castità della sua nuova amicizia, finché non le scrisse quella lettera in cui tentava di convincerla ad assumere un ruolo diverso: non più quello dell’amante ma di affettuosa sorella.
Sono sicura che Barbara non doveva amarlo molto perché rifiutò: io, Aélis, avrei accettato, pur di restargli accanto.
I due si incontrarono un’ultima volta a Roma nel novembre del 1891, nel corso del quale Elvira/Barbara rifiutò di consegnargli tutte le lettere che lui le aveva inviato- Erano di mille. Un atto terribilmente egoistico, perché a lui sarebbero state utilissime per completare quella nuova opera letteraria a cui stava lavorando, “L’Invincibile” , che poi avrebbe preso il titolo definitivo di “Il trionfo della morte”.
Ma la cosa più sbalorditiva per lei fu che scoprì che la casta convivenza con Maria stava producendo un frutto.

continua

Le donne del mio Vate – ☾V☽

Cap. 1b – Maria Gravina e Renata


Barbara Leoni, informata della convivenza del Poeta con la principessa, che lui definiva casta, si accorse che invece Maria Anguissola-Gravina Cruyllas di Ramacca y Azevedo aspettava un figlio e stavolta la rottura fu definitiva.

Infatti pochi mesi dopo, nel gennaio del 1893, nacque Eva Adriana Renata, la figlia prediletta dal mio grande Ariel, che ne riconobbe subito la paternità e ribattezzò “Cicciuzza” .
Sirenetta” fu un altro soprannome che le diede fin da quando era piccola, una sirenetta a cui è sempre stato particolarmente e affettuosamente legato. Gabriele conserva ancora una letterina che lei gli inviò quando aveva solo sei anni, appena imparò a scrivere: “Papaletto mio caro, da ieri che ho ricevuto la lettera tua, la porto sempre con me e non mi par vero che tu ti ricordi della tua Cicciuzza”.

Non fu certamente un padre presente ma il legame con Renata si rinsaldò nel 1916 quando la ragazza, allora diciottenne, andò a Venezia per prendersi cura di lui. Infatti era stato vittima di un incidente aereo mentre combatteva sul fronte dell’Isonzo, durante il quale batté il capo contro la mitragliatrice e si ferì gravemente alla tempia e all’occhio destro.
Ciononostante continuò a partecipare ad altre missioni finché la situazione divenne molto grave per un distacco della retina. L’occhio destro venne definitivamente compromesso e i medici furono costretti a fasciarli entrambi. Così bendato, fu obbligato a rimanere immobile a letto. Tuttavia non rinunciò a scrivere, dapprima dettando a Renata e poi utilizzando migliaia di striscioline di carta su cui vergava una sola riga. Questo per evitare di soprapporle e renderle incomprensibili. Era poi compito di Renata radunare con scrupoloso ordine il tutto.
Nel “Notturno” (un’opera in prosa lirica costituita da una raccolta di meditazioni e ricordi della sua esperienza bellica) scrisse: “Quando la Sirenetta s’accosta al mio capezzale col suo passo cauto e mi porta il primo fascio di liste eguali, tolgo pianamente le mie mani che da tempo riposavano lungo le mie anche. Sento che sono divenute più sensibili, con nelle ultime falangi qualcosa d’insolito, che somiglia a un chiarore affluito. Tutto è buio. Sono in fondo a un ipogeo….”
E anche “La sirenetta appare sulla soglia/porta un mazzo di rose/è un angelo che si distacca/da una cantoria fiorentina/quando parla il mio cuore si placa”.

Durante quella permanenza alla “Casetta rossa” di Venezia, Renata conobbe il tenente di vascello, Silvio Montanarella, che sposò nell’agosto del 1916: testimoni delle nozze furono il padre e il fratellastro Mario D’Annunzio.
Penso che Gabriele non fosse molto favorevole a quel matrimonio, ma acconsentì esclusivamente perché la figlia insistette, anzi si impegnò a passarle un sussidio mensile di 5.000 lire da aggiungere allo stipendio del marito, affinché la giovane potesse soffrire al minimo i disagi causati dal periodo bellico.
Quella somma tuttavia venne con gli anni progressivamente ridotta fino a essere sospesa del tutto. Che sia questa la causa dell’interruzione dei rapporti tra padre e figlia?
Oppure il motivo è stato quello che l’ha fatta andar via da Gardone, dopo la misteriosa caduta del mio Gabriele dalla finestra, “il volo dell’arcangelo”. Ricordo che in quell’occasione Renata accusò l’amante di turno Luisa Baccara, solo di un anno maggiore di lei e chiamata la “Signora del Vittoriale”, di esserne responsabile. Per questo venne allontanata.


continua

Una replica a “Le donne del mio Vate – ☾IV☽ (V) by Luisa Zambrotta”

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