Erano loro, quei due rumeni, senz’ombra di dubbio. Dovevano essere fratelli: uno alto, grande e grosso, una montagna umana, biondo, con una barbetta da capra sotto il mento. L’altro mingherlino, coi capelli castani, gli occhi nocciola. Sempre insieme, inseparabili. E due attaccabrighe! Non erano stati loro, forse, a menare quel poveraccio del negro, fuori dal supermercato? Non erano loro che spargevano i loro rifiuti alla fermata dell’autobus, sacchetti vuoti di patatine, bicchierini di estatè accartocciati, fazzolettini di carta, lattine di birra?

Guardi che le lattine e le cartacce le lasciano anche tanti ragazzotti più che italiani, intanto che aspettano l’autobus e si fanno grossi con le ragazzine,  li vedo io con i miei occhi, che abito proprio sopra la fermata, e tutti i giorni mi tocca mettermi i guanti da lavoro e raccattare tutta la loro mondezza, aveva detto il vecchio, e io non avevo risposto, ma passando accanto alla sua Polo del 2015, tenuta come un gioiellino, avevo tirato fuori le chiavi di casa e gli avevo fatto una bella riga lungo tutta la fiancata, così impari, vecchio.

Da quando sono arrivati i rumeni, e anche i negri, gli albanesi, i cinesi, non si campa più, dalle nostre parti. Esci di casa e ti trovi davanti certe facce! Prendi per esempio la palazzina dove abito io. Non che la signora Fedi fosse una gran simpatia, intendiamoci. E nemmeno la Franchi, né quel rimbambito di Paolini. Ma era gente normale, che parlava italiano, che somigliava a tua madre, o a tuo nonno, gente che ti poteva rompere i coglioni, sì, ma relativamente. Avevano sempre qualcosa da lamentarsi, o perché coi nuovi sensi unici nella strada non ci si viveva più, dal rumore e dai gas di scarico, che loro erano giusto dei vecchietti e gli veniva un catarro da non credersi, o perché quelli del comune non erano ancora venuti a sostituire una lampadina fulminata al lampione sotto casa, o a ripianare le buche del marciapiede, che loro con quei carrellini della spesa dovevano fare le acrobazie; qualche volta avevano da dire se tenevo lo stereo un po’ alto o se tornando un po’ più tardi la sera facevo rumore… ma con me s’azzardavano poco, erano sempre gentili, con me, ed io del resto ero gentile con loro, gli davo una mano a portar su la spesa, qualche volta gli facevo anche delle piccole commissioni, se mi girava. Ora son tutti morti, o se ne sono andati al ricovero, e al posto loro ci son venuti tutti questi extracomunitari. Lo so, lo so, i rumeni sono della comunità europea. Ma sono i peggio di tutti, se proprio lo devo dire.

I negri, alla fin fine, se passi sopra al loro aspetto, non sono poi malaccio. Se ne stanno nel piazzale del supermercato, che quelli del supermercato ci hanno pure messo un cartello, vietata qualsiasi forma di accattonaggio, ma  a loro non gliene frega niente, del cartello, ai negri, e dopotutto nemmeno alla direzione del supermercato, che li lascia star lì. I negri per conto mio sono davvero un po’ troppo neri, e sono perlopiù dei gran pezzi d’uomini, e ci sono pure un paio di donne, coi lineamenti troppo marcati, per i miei gusti: stanno nel piazzale e ti vogliono vendere quelle loro cianfrusaglie, tutta roba che trovi anche dentro il supermercato, e a meno, se si deve esser  sinceri. Fazzolettini di carta, accendini, calze di spugna. Oppure ti vogliono scortare alla macchina per poi prendersi il carrello con la moneta da un euro o magari da due. Che poi cosa fanno per meritarsela quella moneta, non ti spingono il carrello, non te lo svuotano, ti guardano mentre sistemi la tua spesa nel bagagliaio e poi se ne vanno col carrello. Sempre gentili, eh, e non è vero poi che i negri puzzano, che di solito spandono un gran profumo di bagno schiuma e di deodorante. Si vede che al paese loro non avevano tante occasioni di lavarsi, e così, ora che son qui, è tutto un gran docciarsi e profumarsi. No, i negri mi sono quasi simpatici, con quei loro sorrisoni tutti denti, e così al lavoro, in officina, mi sono fatto un certo numero di rondelle di ferro giusto della misura delle monete da un euro, le ho molate e lisciate per bene, e ora quando vado a far la spesa ci metto uno di quelli nella fessura del carrello, così quando poi il negro mi si affianca nel tragitto dall’uscita al parcheggio e mi si piazza lì a un centimetro, col suo profumo di borotalco quasi nauseante, io, dopo aver scaricato tutto con calma e aver sistemato le borse nel portabagagli e aver chiuso lo sportellone gli faccio un sorriso quasi più grande del suo e gli concedo di portarsi via il carrello, con la sua sorpresina infilata nella fessura. Eh, che vuoi che sia, uno scherzo innocente. Chissà la faccia, quando incastra il carrello nella fila e tira fuori la sua rondella  di ferro. E che credevi, che era così facile guadagnarsi un euro, o magari due.

Gli albanesi, quelli poi, sono talmente rumorosi, talmente petulanti! Alla fermata non fanno che berciare in quella lingua ostrogota che parlano. E ridono, sghignazzano, urlano, si chiamano da lontano, si fanno grandi cenni con le mani. Sono incivili, tutti quegli anni di comunismo, tutto quell’isolamento. E la cosa che ti colpisce negli albanesi, come guardano le ragazze. Ma che, non ne hanno visto mai al paese loro? E sì che ce n’hanno anche certe che non son male, un po’ larghe di viso e di fianchi, ma passabili, specialmente quando s’agghindano un po’. Sulle donne, devo dire, le rumene battono le albanesi alla grande, sono alte, con delle gambe lunghe, forse un po’ grosse di caviglie, ma niente male, davvero. Le africane, dipende. Ci sono quelle grasse, col naso schiacciato e i labbroni, quelle non mi piacciono. Ma ce ne sono alcune, alte e slanciate che sembrano delle regine, e i lineamenti del viso più fini delle nostre. Ma non sono per noi gente del volgo, quelle. Quelle son carne per gente chic, carne fresca per i buongustai, e ben forniti di denaro, naturalmente.

 Ma tornando agli albanesi, che ci hanno gli albanesi da guardar le nostre donne, eh? Le donne non son di nessuno, né vostre né loro, le donne sono di se stesse, mi dice con finta bonarietà la signora che abita di fronte, una vecchia rompicoglioni femminista, credo che faccia la professoressa, la vedo a tutte le manifestazioni di quelli della sinistra, se non ora quando, se non noi chi, se non ti levi dalle palle non sai quel che ti capita, dico io. Avrà sui cinquant’anni, si veste da schifo, non si trucca, non si tinge i capelli, gesuccristo ce ne scampi e liberi. Certo, lei, chi vuoi che la guardi, neanche un albanese allupato. Invece gli albanesi con le ragazze italiane ci provano eccome, le abbordano per la strada, gli dicono frasi che nelle loro intenzioni dovrebbero esser galanti, gli offrono un caffè se le incontrano al bar, figuriamoci se una ragazza italiana ha bisogno di un caffè offerto da un albanese con le pezze al culo. Io quando vedo certe scene ci sto male, perché non esiste proprio che una donna delle nostre si metta con uno di loro, con un rozzo senza arte né parte, che parla un italiano patetico, dice siniorina, dice siguro, dice televisia, e sorride a bocca larga, e chissà che non gli metta le mani addosso, gliele mette di sicuro. Perché la maggior parte degli albanesi che arrivano qui sono giovani e la donna non se la sono portata, l’hanno lasciata al paese o non ce l’hanno proprio, così si vogliono mettere con le donne italiane, che non è cibo per i loro denti. E il bello è che ce n’è pure qualcuna che ci sta.

Dei cinesi, manco parlarne. I cinesi sono pericolosi, sul serio. Non si sa mai cosa pensano, e poi sempre con quel sorrisetto, zitti zitti i cinesi si stanno comprando il mondo, anche qui da noi tutte le fabbriche tessili, che erano l’orgoglio dell’Italia nel mondo, ora sono tutte dei cinesi. Coi cinesi, io, non ci voglio aver niente a che fare. Oltretutto fanno da mangiare in un modo orrendo, e dire che conosco gente che ci va, al ristorante cinese, che basta passarci davanti e si sviene dalla puzza, e c’è da star male per tre giorni dopo aver mangiato quei diabolici involtini e quel maiale in agrodolce, dio ne scampi.

Ma i rumeni sono i peggio di tutti. Rumeni, rom, c’è chi dice che non è esattamente la stessa cosa, c’è chi dice che ci sono anche rom italiani, io non ci credo, rumeni, rom, come li volete chiamare, è lo stesso. Quando avviene un incidente, che un automobilista ubriaco travolge tutta una sfilza di pedoni, quando c’è una rissa nella metropolitana e qualcuno infila un ombrello in un occhio a qualcun altro, quando una donna viene violentata mentre se ne torna tranquilla a casa sua, ci puoi giurare che c’è sempre di mezzo qualche rumeno. L’ha detto anche un sociologo alla televisione, che i rumeni hanno una propensione alla violenza sessuale superiore a quella degli altri stranieri, che pure non scherzano, aggiungo io. Così, tornando ai due rumeni di cui parlavo all’inizio: erano loro, erano stati loro, non c’erano dubbi in proposito.

Erano stati loro ad ammaccare la macchina della signora Paperetti, parcheggiata sotto casa: una notte si era sentito un gran casino, rumore di lamiera che sbatte, freni che stridono, urla. Poi silenzio, un motore che riparte, e via. E nessuno che si sia azzardato a scendere in strada a vedere cos’era successo. La mattina dopo, si è vista la macchina della Paperetti tutta accartocciata. Nessuno ha visto, nessuno ha sentito. Io, del resto, non ero in casa, ho solo sentito quel che dicevano i vicini, ma son sicuro, sono stati quei due, sono sempre in giro a quell’ora di notte, ubriachi intinti.

Erano stati loro a rubare il cellulare del Dodo, quel balordo, uno smartphone nuovo di zecca, che l’aveva comprato da un ricettatore a prezzo stracciato, e poi l’aveva lasciato sul tavolino del bar mentre andava a pisciare, e manco a dirlo, quand’era tornato lo smartphone non c’era più, e nemmeno i rumeni c’erano più, scomparsi. Dice il barista che in realtà lui non li aveva visti proprio, quel pomeriggio, né prima né dopo, ma è un extracomunitario anche lui, si tengono mano l’un con l’altro. 

Una replica a “Erano loro – Parte prima Racconto di Marisa Salabelle”

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