Sabato 16 settembre sarà annunciato il vincitore (o più probabilmente la vincitrice, visto che ci sono quattro autrici e un solo autore tra i finalisti). Centomilioni, di Marta Cai, è l’unico romanzo vero e proprio a far parte della cinquina del Premio Campiello. Fui sorpresa quando la cinquina fu proclamata, perché, in un concorso al quale, da regolamento, sono ammessi a partecipare romanzi e raccolte di racconti, le altre quattro opere finaliste non appartenevano certo ai due generi elencati nel bando, ma rientravano piuttosto nella saggistica. Quel 26 maggio, all’ora prevista, ascoltai con molta ansia l’annuncio, dato che il mio libro La scrittrice obesa era in concorso, e naturalmente sapevo che non ci sarebbe rientrato, ma una piccola parte di me ancora ci sperava, per cui quando sentii parlare delle caratteristiche delle opere selezionate, di originalità, di personaggi femminili forti e fuori dai cliché, di grande cura del linguaggio, per un attimo pensai, vuoi vedere che l’Obesa ce l’ha fatta? No, naturalmente, l’Obesa non ce l’aveva fatta, forse non era all’altezza, o forse il mio editore non aveva la forza per imporsi in un concorso così importante, o forse sono semplicemente i miei romanzi che non hanno le caratteristiche necessarie per primeggiare ai concorsi letterari.

Io, delle opere finaliste, ne ho lette tre, La Resistenza delle donne di Benedetta Tobagi, la Sibilla di Silvia Ballestra e per l’appunto Centomilioni, che, al di là del genere, fra le tre è quella che mi è piaciuta di meno.

Pubblicato da Einaudi, in una collana intitolata Unici, Centomilioni è uno smilzo libretto di circa 130 pagine. Racconta di Teresa, una donna di 47 anni che vive coi genitori e insegna in un istituto per il recupero degli anni scolastici. È una donna senza qualità, sostanzialmente un’inetta, e la sua giornata è scandita dal fumo di decine e decine di sigarette. Se questo vi ricorda un certo filone delle letteratura europea del Novecento, non è colpa mia. Teresa conduce una vita piatta, tra la scuola e le incombenze familiari, la principale delle quali consiste nel girare tra diversi macellai per acquistare i tagli di carne più teneri e saporiti per il pranzo in famiglia. Sua madre è la tipica casalinga esigente e perfezionista, suo padre ha o finge di avere un principio di Alzheimer. In tutto questo squallore solo una cosa scalda il cuore di Teresa, ed è il ricordo di un ex studente del quale si è invaghita. Mai niente c’era stato tra loro, ma Teresa lo serba nel cuore ed è sinceramente sorpresa, ed emozionata, quando un giorno per puro caso lo incontra: lei seduta in macchina, lui che le passa accanto, la riconosce, si ferma, ed è così gentile, ha un così bel ricordo di lei. Potrebbe nascere una tresca, ma non succede: tra i monologhi interiori dell’una e dell’altro, si arriva a un solo appuntamento in un bar, dove lui cerca di coinvolgere la donna in una truffa e lei fortunatamente non accetta. Si chiude così malinconicamente quella che nei sogni di Teresa poteva essere una romantica storia d’amore e in quelli più prosaici del giovane poteva essere un modo di spillare soldi alla sua ex insegnante, e si chiude anche il romanzo.

Detta così, la trama può sembrare un po’ povera, ma non temete: lo è davvero. Naturalmente io so bene che una trama ricca di colpi di scena si addice a un thriller o a un romanzo d’azione ma non necessariamente a un’opera che ambisce ad essere considerata letteraria, ma qui, ve lo assicuro, non succede proprio niente di niente. Sarà allora la lingua, sarà lo stile a dar valore al romanzo. Così pare, infatti: un linguaggio molto elaborato, molto letterario, ricco di metafore, che tuttavia io non sono riuscita ad apprezzare. Mi è parso in molti punti uno sfoggio di bravura un po’ troppo insistito, un po’ troppo evidente. In conclusione, non un brutto romanzo, forse, ma non tale da rientrare in una cinquina prestigiosa come quella del Campiello. Vedremo presto se la palma della vittoria sarà assegnata a quest’opera narrativa non entusiasmante o se andrà a un’opera appartenente a un genere diverso: un saggio storico, una biografia, un diario, un racconto di viaggio e mitologia. E la domanda finale, per me, è questa: non c’erano, tra le opere iscritte al concorso, dei romanzi degni di figurare in cinquina? Non si scrivono più dei bei romanzi in Italia? O sono le giurie che non li sanno o non li vogliono trovare?

3 risposte a “In margine al Campiello by Marisa Salabelle”

  1. Non so quanto cinicamente o meno, quanto interessatamente o meno. Ma, se dovesse vincere, di sicuro sarà perché vorranno premiarne il suo essere espressione, più che mai, dello squallore e della miseria attuale. Almeno, da come ne parli. Del resto, anche l’idea dell’allievo che cerca di coinvolgere la docente in una truffa, mi ricorda un fatto di cronaca di qualche anno fa. Non ricordo dove,in qualche località del Piemonte, un allievo di una superiore, sfruttando il suo carisma, si era fatto prestare dei quattrini da una docente che aveva un debole per lui. Quando la donna, presa coscienza della truffa, ha richiesto indietro i soldi, il bellimbusto non ha trovato di meglio che farla sparire, pure con l’aiuto della mamma, se non sbaglio. Insomma: la realtà supera la fantasia, pure in modo ancor più romanzesco e tragicamente misero.

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  2. […] In margine al Campiello by Marisa Salabelle […]

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  3. Non so se l’autrice si sia ispirata al fatto di cronaca che citi, può darsi, ma per l’appunto la cronaca è stata più romanzesca del romanzo…

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