Il corpus epistolare di Pier Paolo Pasolini costituisce l’ultimo grande insieme di lettere del Novecento.

La personalità di Pasolini emerge in modo unico, poiché ogni lettera contribuisce a costruire una sorta di autobiografia collettiva, affacciandosi sullo sfondo delle anticipazioni di trasformazioni sociali e culturali, avvertite con fervido istinto.

Le lettere di Pasolini possiedono una tipica impronta novecentesca, rivelando le loro contraddizioni anche attraverso il supporto materiale che le caratterizza. Sono in parte manoscritte, in parte dattiloscritte, alcune in forma pregevole, altre corredate di annotazioni e rielaborazioni. Con il passare del tempo, il loro numero si riduce sensibilmente: dal fervore degli anni ’40 e ’50, si giunge a una fioritura più sporadica negli anni ’60, fino ad assottigliarsi, arrivando quasi a scomparire, nei ’70.

Queste lettere sono un’importante tappa nella storia della cultura italiana del Novecento, rappresentando un imprescindibile appuntamento dal vivo con i protagonisti di quell’epoca. Attraverso di esse, Pasolini intrattiene dialoghi con figure come Carlo Emilio Gadda, Italo Calvino, Elsa Morante, Leonardo Sciascia e molti altri, unendo il ricordo di un’epoca in cui il confronto tra intellettuali, scrittori e personalità culturali era molto più costante e quotidiano rispetto ai giorni nostri. In alcune tra queste centinaia di lettere emerge una straordinaria fusione tra il pubblico e il privato, tra biografia e opera, talvolta addirittura tra Storia e poesia.

Riporto oggi qui una lettera non di Pasolini, ma Maria Callas che scrive al suo amico Pier Paolo.

Caro Pier Paolo, ho ricevuto il libro poi la tua cara lettera. Sono infelice per te – ma contenta che ti sei confidato in me. Caro amico, sono infelice che non posso essere vicina in questi momenti difficili per te, come lo sei stato tu spesso con me. Tu sai bene in fondo che sarebbe andata così. Se ricordi a Grado in macchina si parlava con Ninetto di amore e che ne so io. Dentro in me – le mie antenne tu dici – me lo dicevano quando Ninetto diceva che non si innamorerebbe mai – sapevo che diceva delle cose che era troppo giovane per capire. E tu in fondo uomo tanto intelligente lo dovevi sapere. Invece ti attaccavi anche tu a un sogno, fatto da te solo perché è così anche se ti addoloro con questa predicuccia piccola. La realtà è quella che devi affrontare ma non puoi perché non vuoi. Tu rinascerai, ci sono riuscita io – donna – con tanta sensibilità, eppure ho capito che solo in noi possiamo basarci. Tu ahimè non prendermi in giro. E’ triste anche e sopratutto per me dirlo. Sugli altri non si può fidare a lungo. E’ legge di natura. Noi dentro dobbiamo trovare la forza, almeno apparente, non ti faccio da madre, caro, ma ti consideravo mai come mio padre. Pier Paolo i libri sanno tanto sì, ma non la dura realtà, e non insegnano quello che io credo, e morirò credendo. Cioè che l’uomo solo può fare, di pura volontà, amor proprio ed orgoglio. Quello che io cerco di fare. In realtà se mi capisci, ma in fondo vedo forse non tanto, piedi per terra bisogna averli sempre poi sognare sì, ma è sogno non realtà. La realtà è creazione, dignità, non borghesia come dici, o forse non ho capito bene il libro. Io vivo nella borghesia servendomi di lei perché l’artista ha bisogno di lei. Ma in realtà io vivo sola, nella fede che posso, devo, perché sono guardata da tutti. E si ha il dovere di fare, una volta messi lassù. Non si può fare ciò che si vorrebbe. Anch’io vorrei, certo, ma allora si accetta essere criticati perché chi riesce la gente lo colloca alto, e così hai dei doveri. Se no allora si lascia e si fa quello che si vuole. Non si trovano scuse per noi, anche se gli altri danno tanto.
Certo le parole sono parole, facili a scrivere a te – ma quando è che crescerai P.P.P.? Non è giunta l’ora di essere più ricco e maturo, anche se fanciulli si è sempre grazie a Dio. So che mi odierai per quel che ti scrivo. Ma ti ho sempre detto la verità, e ti chiedo scusa che invece di coccolarti ricevi queste stupide parole. Te le avevo già dette e ti chiedo perdono. Sono qui, peccato che non vieni, chi sa perché poi. Gli amici sono per i momenti difficili, te l’ho detto sempre. Sarò qui tutto l’Agosto anche. Vorrei avere tue notizie. Sono sempre tua caramente con l’amicizia di sempre. Scrivimi qui Draconizzi Petacci Marmari. Grazie del telegramma da Londra.

Maria (fanciullona) – 21 luglio 1971. Alessandro Cannavò dall’Archivio storico del Il Corriere della Sera, 12 giugno 1993.

[BlogLink: Marco Crestani ]

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