By Gianluca Mantoani

Suor Maria Vittoria uscì dalla stanza, il Maresciallo voltandosi diede uno sguardo d’insieme, vide che i letti erano tutti occupati e che al fondo, davanti a quello di Virginia, contro la parete c’era una donna un po’ in disparte, dall’aria arruffata, seduta in bilico su una sedia proprio sull’angolo, come per occupare meno spazio. Aveva gli occhi arrossati e il naso sottile e mentre si guardava intorno tormentava fra le mani una borsa di stoffa.

Si avvicinò, salutandola sottovoce. L’aveva riconosciuta, era Teresina Mensio. Tutti quelli che passavano dal mercato di Piazza Bengasi la conoscevano, almeno di vista. Di solito aiutava i cartonê, come li chiamano qui, i carrettieri e gli ortolani a scaricare la verdura in cambio di due soldi o di qualcosa da mangiare. Mille lavori, mai uno per davvero; eppure era una brava donna, che in qualche modo se la cavava, quasi senza commettere reati. In compenso, però, sapeva tutto ciò che si diceva in giro, a proposito di chiunque. Dalla Fornara di via Genova, su fino al ponte Po’ di Carignano, se capitava qualcosa si faceva prima a chiamare Teresina. Se Elvira faceva tardi al mercato sotto l’Arco, ad esempio, poteva esser certo che aveva incontrato Teresina fra i banchi della verdura e dopo, a pranzo, avrebbe avuto il notiziario aggiornato. Spesso l’aveva vista incamminarsi con Virginia, sulla strada per la Loggia, ascoltandola cantare o chiedendogli di raccontare qualche cosa della sua infanzia nel Panamá. Non le camminava a fianco, però, rimaneva sempre un poco distante, forse per timore dei cani, forse per il pudore di non disturbarla; ma la guardava fissa, come si guarda la statua di una santa in processione e le chiedeva mille consigli. Della Giovampaola pensò che avere lì la Mensio a pensarci bene era tempo guadagnato; tanto valeva farci subito due chiacchiere. Mentre stava per avvisarla di tenersi un momento a disposizione, sentì la voce di Virginia che si alzava leggermente, intonando con voce debole una melodia lenta: ”…Santa María La Antigua. Oh, Señora de mi Panamá. No se aparten tus ojos de ella como muestra de tu gran …”

Buongiorno Virginia“ - la salutò il Maresciallo, quasi in tono di rimprovero – “... ma cosa fai ? Canti? In ospedale?“ - 

Buongiorno Maresciallo“, rispose quella girando lo sguardo verso di lui: “..è la preghiera per Santa Maria Antigua, la patrona del Panamà,… perché io sono nata nel Panama Maresciallo, lei lo sa? Questa preghiera me l’ha insegnata mia mamma, a Pocrì; che mi portava alla chiesa di San Juan Bautista per cantare. Ero piccola, la prima volta, quando mi chiese di cantare davanti a tutti; avevo si e no cinque anni, me lo ricordo; don Enriquerimase con la bocca aperta!”

Lo so Virginia, lo so…” disse Della Giovampaola, “..che sei nata nel Panama, lo sa praticamente tutta Moncalieri; ma perché stavi pregando adesso? Hai male? Hai paura?” Non era tanto incline a divagare e cercava di andare diritto al punto: “chi è stato a ridurti in queste condizioni“?

Virginia spostò nuovamente lo sguardo verso la finestra e riprese a cantare, questa volta con tono un poco più alto e voce più sicura: ”Oh, Santa María la Antigua, Patrona de Panamá; Tú que conoces todas las luchas, anhelos, tristezas y alegrías de nuestro pueblo l…“. Le altre donne ricoverate si voltarono verso di lei sorridendo e suor Maria Vittoria fece capolino sulla soglia per controllare la situazione; ”ha male, ha molto male al fianco, ma non glie lo dirà, Maresciallo!“ - disse ad alta voce la suora – “…come non le dirà chi è stato a conciarla in quel modo. Se parla, parla solo dei cani. Ha già detto che deve uscire, deve uscire subito, deve andare a dargli da mangiare, ci fa diventare matte con questi cani..”

Virginia si voltò verso la suora, sorrise, poi guardò il Maresciallo, una smorfia di dolore attraversandole lo zigomo e l’occhio sinistro, la fece tacere qualche istante, poi respirò e riprese: “certo, povere creature, loro si sono spaventate molto, ci sono Linda,
Draga e Lupa che sono rimaste sole adesso, perchè
 Nabucco è morto… è morto di freddo, vicino a me, l’altra settimana; lo sapete? ” Portò nuovamente lo sguardo sulla suora, poi su Teresina e infine sul Maresciallo e riprese: ”Adesso non so dove sono e come fanno a mangiare..sono molto in pensiero; per questo insisto che devo uscire! Quelle bestie hanno solo me. Le suore non vogliono farmi alzare. Glielo dica lei che è Maresciallo, le faccia ragionare, je vous en prie…” Fece per spostare la coperta e mettere un piede a terra. Suor Maria Vittoria cercò di avvicinarsi al letto, visibilmente agitata: “E no Virginia, per piasì, ca fasa nen parej,a venta che staga bin cugià...”

Ma il Maresciallo fu più rapido a muoversi; tagliandole la strada si mise davanti a Virginia e allungando il braccio fece il gesto di aiutarla ad alzarsi: “Su, venga, che le do una mano io ad alzarsi… ah sappia che le porto anche i saluti di mia moglie… “

E’ sempre gentile la sua signora, me la saluti tanto mi raccomando..” rispose Virginia allargandosi in uno sguardo aperto, pieno di calore. ”Eccola“, pensò Della Giovampaola; adesso la riconosceva; anche coi capelli corti, con la sottana bianca di flanella, era ancora Virginia dei Cani. Le offrì il braccio per aiutarla ad alzarsi e quella si levò a sedere sul letto. Suor Maria Vittoria, tagliata fuori, rimaneva vicino, appoggiata alla parete, pronta a cogliere il momento per intervenire. Ma il dolore ai fianchi e la debolezza ebbero il sopravvento; dopo alcuni secondi immobili, invece di alzarsi come il Maresciallo le aveva offerto, Virginia chiese che l’aiutassero a coricarsi di nuovo, a quel punto il Carabiniere chiese una sedia e si sistemò a lato del letto. Poi guardò Teresina: “Mi faccia il piacere, signorina Mensio, fra una mezzora si trovi qui sotto, davanti alle Grotte Gino, che ho bisogno di dirle delle cose, magari le offro anche un bicchiere, che ne dice? Teresina annuì, si alzò senza dire nulla e usci dalla camera. La suora rimase ancora un poco nei pressi sistemando le coperte e sprimacciando i guanciali ma, visto che il Maresciallo continuava a rimanere in silenzio e guardarla, non trovando scuse per restare ad ascoltare, se ne andò, inalberando la sua aria più risentita.

Cosa vuole sapere Maresciallo? Chiese Virginia appena la suora si fu allontanata. “non so proprio cosa sia successo, era buio, era tardi, pioveva, c’era vento; né io né i cani abbiamo sentito rumori strani, ma come ho detto c’era maltempo e molto fracasso. Ad un certo punto ho solo sentito un dolore alla testa, forte e poi mi ricordo che mi son svegliata sulla riva della Chisola, con un piede nell’acqua, avevo vicino Lupa, me lo ricordo, ma Draga e Linda no, le sentivo lontano che abbaiavano e non so come ho fatto ma son riuscita ad arrivare allo stradone e dopo un po’ qualcuno mi ha raccolto e poi mi ricordo che le suore mi toglievano i vestiti e dicevano che schifo e madre di dio che puzza e signore aiutaci e poi mi hanno tagliato i capelli e mi hanno lavato col disinfettante e l’acqua era così calda che mi bruciava e poi mi han lasciato su una barella, con su soltanto un camicione e devo essermi addormentata e quando mi sono svegliata mi sono venute in mente Draga e Linda, che le sentivo abbaiare lontano e allora ho cercato di alzarmi ma mi hanno fermata e mi hanno messo un altro camicione, questa volta però mi hanno anche legato le braccia. E poi mi sono addormentato ancora e quando ho riaperto gli occhi c’era il dottore. Il dottore era gentile, mi ha detto che avevo preso delle brutte botte, che ne avrei avuto per qualche giorno e poi passava ma che purtroppo ho il fegato malato e dovrei curarmi e poi mi ha chiesto quello che mangio e io allora gli ho detto che non mangio mai la carne perché gli animali sono creature di dio e lui si è messo a ridere. 

Lo disse tutto d’un fiato e il Maresciallo l’ascoltò allo stesso modo, senza respirare e prima che potesse formulare una domanda venne nuovamente investito dal flusso di parole di Virginia, che uscivano sbattendo fra loro, come dalla chiusa di un canale: “..e alla fine mi hanno portato qui, mi hanno dato da mangiare ed è passato a salutarmi Rondolotto e poi il parroco di Vinovo e la panettiera di Tetti Piatti e Pina Marocco della Barauda e altri ancora che non mi ricordo neanche i nomi e poi, stamattina, è venuta a trovarmi Teresina, che mi ha detto che Draga e Linda sono di nuovo sotto il ponte alla Chisola, ma secondo me l’ha detto per farmi contenta, perché mi sembra strano e poi aveva gli occhi rossi come avesse pianto ma le ho chiesto e non mi ha detto niente, ma non credo che le abbia viste veramente le mie bestie. Ecco, Maresciallo, io più di cosi non so che cosa dire. Cosa vuole sentire? Anche Rondolotto me l’ha chiesto. Chi è stato Virginia? Dimmi chi è stato… Devo avergli detto che mi sentivo come se mi avessero preso a bastonate. Ma io non lo so, non so nemmeno se sia stato davvero qualcuno oppure se invece mi son sentita male e son caduta. Quest’anno faccio settant’anni, Maresciallo, e questa vita che faccio non è facile, lo capisce; però io non mi lamento, a me va bene così, io vorrei solo tornare sotto il mio ponte, su strada Carignano, con i miei stracci, con le latte della Brigata Cirio e gli ombrelli, la carrozzina e con l’aria fredda, e il pane raffermo. E con i miei cani. Mi basta solo non dovere stare chiusa qua dentro, che mi sento morire dal caldo e dall’aria viziata, con tutte queste vecchie che tossiscono. Non voglio morire qua, Maresciallo, in questo ‘spedale. Io non ho fatto del male a nessuno…. anzi no, questo non è proprio vero. C’è stato uno che gli ho fatto del male, ma è stato molto tempo fa, ero giovane e ho pagato, sono quarant’anni e più che sto pagando quel male che ho fatto. Ma non voglio morire fra questi muri. Mi aiuti lei Maresciallo. Lei è un uomo rispettato. A lei danno retta. Perfino le suore le danno retta.”

Il Maresciallo ascoltava, in silenzio, cercando di governare mentalmente il flusso verbale di Virginia. Gradualmente lo sfogo torrenziale si asciugava, lasciando il posto ad una stanchezza ottusa, che si impadroniva di lei, lasciandola alla fine inerme e spossata, con ancora fra le labbra le ultime parole già pensate e ancora non liberate dalla presa dei denti. Della Giovampaola si alzò, lentamente, spostò la seggiola contro il muro e uscì dalla stanza. Salutò con un cenno della mano Suor Maria Vittoria e si diresse verso l’uscita del reparto. Respirò. Aveva bisogno d’aria e di una sigaretta; E di pensare un po’. Poi si sarebbe recato alle Grotte Gino; per parlare con Teresina Mensio.

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Questa storia è arrivata fino a me, attraverso mio padre, oltre 30 anni fa, circa 30 anni dopo la morte di Virginia dei Cani. Io ne sono rimasto affascinato e ci ho costruito sopra la mia  tesi di laurea, per poi dimenticarla, a lungo, fra le cose da fare e le urgenze del vivere.

Poi, all’improvviso, poco tempo fa, non so affatto perché, Virginia è tornata da me con la sua storia e una nuova urgenza di farsi raccontare.  E ho deciso di farlo qui, su Masticadores, perché la sua vicenda, come questa pagina, percorre molti luoghi e molti confini, coinvolge persone e ambienti diversi; è una storia di quelle che attraversandoci la vita lasciano un segno e non è semplice capirne la ragione. Bisogna percorrerle. E io l’avevo fatto solo per un tratto.

Con questa, siamo arrivati alla terza parte; idealmente termina quel che potrebbe rappresentare l’iniziale capitolo di una narrazione più ampia, che nel frattempo si sta aprendo, articolando e mi sta chiamando in direzioni nuove, mescolando tempi e scenari che trent’anni fa non avevo preso in considerazione. Sicuramente, la storia di Virginia dei Cani mi sta consentendo ampie opportunità per declinare il tema portante di questo spazio: immaginare.

3 risposte a “Immaginare / Virginia d’ij Can (3)”

  1. […] Pubblicato da Gianluca Mantoani il gennaio 8, 2024gennaio 13, 2024 Immaginare / Virginia d’ij Can (3) […]

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  2. “…è una storia di quelle che attraversandoci la vita lasciano un segno e non è semplice capirne la ragione. Bisogna percorrerle.” …lei dice, Guanluca, ed è la potenza degli ultimi quelli che io chiamo “irriducibili” che rifiutano il rifugio anche quando c’è il gelo, quelli che hanno una vita concentrata su una massimo due cose, Virginia ha i suoi cani e forse l’atra “cosa” è nel passato che spero di scoprire, di loro ci si accorge se accadono situazioni estreme e quando li incontriamo davvero il loro “nulla” ci scuote . Incuriosisce e prende la sua storia.

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  3. Mio padre aveva probabilmente nominato Virginia dei Cani molte volte, perché era un personaggio del suo mondo, anche interiore, presente nei suoi modi di dire. Ma c’è stata una volta che questa vagabonda uscendo dal suo parlare mi ha toccato profondamente, ha cattturato la mia attenzione. Avevo circa venti anni eravamo nel 1988 o 89 ero uno studente di lettere, avevo da poco fatto l’esame di antropologia culturale. Fu proprio realizzare in un istante che quella donna, ultima fra gli ultimi, non troppo diversa dai tanti che si vedono sdraiati in tante città negli angoli più riparati e inospitali, era entrata nei “modi di dire”, dunque davvero nella cultura di quella generazione in quel territorio. Cercai di capire se fosse solo una cosa di mio padre, ma vidi invece che era largamente diffusa. Era davvero culturale nel senso antropologico del termine. Scoprire per quale ragione, smontare – per cosi dire – il personaggio e individuare i tratti che ne avevano fatto una figura simbolica divenne il mio obbiettivo. Molti anni dopo, dopo un lungo tragitto di vita mio che ha portato a cambiamenti anche profondi, la storia di Virginia dei Ceni è tornata ad essere per me un “urgenza” e non credo che questo sia casuale. Ho sentito di non avere fatto tutto il percorso. La storia di Virginia mi chiedeva allora di essere spiegata; oggi mi chiede di raccontarla, che è un altra cosa e mi rendo conto di questo solo facendolo. Mi chiede di percorrerne le possibilità, documentandomi, completandola, mettendoci del mio dove è necessario, per ridarle vita.

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