[ Link Parte 1 ]
IN UNA NOTTE NERA SULLA TERRA NERA UNA FORMICA NERA DIO LA VEDE.
“Abbiamo fatto un buon lavoro, Mazzanti, vedrà i ragazzi capiranno.”
Scostò di nuovo la tenda, era oramai sera inoltrata e vide che il lungo mare era totalmente imbiancato e là sulla spiaggia il candore della neve addolciva il plumbeo umore del mare e quell’onda che s’infilò sotto il candido manto, le ricordò quella lontana e insolita domenica trascorsa a Cravarezza.
Bruna aveva preparato uno stufato il cui profumo aveva invaso tutta la stanza e, ad accompagnare quella prelibatezza, una maestosa polenta che il marito stava mestando sulla grande stufa, nel forno la torta di farina di castagne.
Pranzarono in allegria in un clima sereno perché quel giorno la sottile linea che divideva genitori e figli dalla maestra era svanita e a tavola tutti scoprirono il carattere gioviale di Ada che divertì i bimbi raccontando loro del mare; a fine pranzo, mentre Bruna sparecchiava prese in braccio Vittoria che fece addormentare con una dolce ninna nanna.
Coricò la bimba nella culla, si complimentò con Bruna per il pranzo e si avviò, senza una meta precisa, lungo il sentiero che portava al bosco godendo di quel radioso pomeriggio, di quella fresca brezza che l’accarezzava, dei colori del bosco, delle candide, vaporose nubi che esaltavano il cielo e fu proprio dopo quello sguardo rivolto all’alto che avvertì per strada la sensazione di una assenza che però non riusciva ad individuare, un vuoto dell’anima che faticava ad interpretare.
I suoi passi la portarono infine là, dove più lo desiderava, alla spianata del Din, alla sua scuola e solo lì capì il motivo del suo misterioso disagio.
Era domenica, giorno del Signore, da consacrare con la partecipazione alla Santa Messa, ma lei quel giorno non poteva parteciparvi e quella privazione le confermò quanto fosse importante e insostituibile per lei quell’incontro settimanale con Dio, quell’abbraccio di riconciliazione, quel refrigerio per tutte le pene e le mancanze della settimana.
Sentì forte il desiderio della preghiera e con un’intensità mai provata prima, s’inginocchiò nell’ampia verdeggiante distesa del Din e sotto un cielo terso recitò il Pater Ave Gloria avvertendo, mai come quel giorno, la vicinanza del Creatore ai bisogni quotidiani degli uomini e in quel radioso pomeriggio di metà agosto, immersa nell’abbondanza della natura comprese, come mai prima, la lettura:
“Né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere…”.
La mattina del lunedì Ada arrivò con più anticipo del solito alla scuola e impaziente aspettava i suoi scolari chiedendo al suo cuore che reazione avrebbero manifestato nel vedere quella scritta; guardò l’orologio e quando mancavano dieci minuti all’inizio della lezione vide il bosco animarsi.
Dapprima sbucò l’aquila che precedeva con imperiose falcate tutti, poi gli scoiattoli con allegri saltelli, il pettirosso svolazzava di ramo in ramo, curioso il picchio, bucando i rovi, il cinghiale, con passi circospetti la marmotta e laggiù timoroso il coniglietto selvatico e dopo di lui solo Simona, la più piccina, lo scoiattolo della classe poi tutti gli altri che, dopo la breve vacanza di fine settimana, erano felici di ritrovarsi lassù al Din.
Dalla cattedra, attraverso la finestrella li osservava protettiva e, poiché tardavano, proprio come una chioccia che raccoglie i suoi pulcini, andò loro incontro e sulla porta li ammonì.
“Forza bambini, su entrate, è l’ora.”
Matteo, il cinghiale, fu il primo a vedere la scritta sotto il crocefisso e la sorpresa, l’intimorì, s’impiantò sulla porta bloccando tutti gli altri che spingevano per entrare.
“Cos’hai visto?”
“Cosa c’è?”
“Spostati, voglio vedere anch’io!”
E fu subito ressa, sedata dalla maestra con un urlo.
“Tutti ai vostri posti, in silenzio.”
Seguì l’appello che fu faticoso perché tutti cercavano di decifrare la scritta.
“Cos’hai letto Martina? Dio? Formica? Ma cosa c’entra?”
“Zitti bambini, questa mattina impareremo una nuova preghiera, quella che vedete scritta sotto il crocefisso. Chi vuole iniziare a leggere? Provaci tu Lucrezia.”
“In una notte nera… ”
“Brava così, avanti.”
“Sulla terra nera…”
Prendendo fiato e coraggio
“Una formica nera…“
Dio la vede.”
Minuti di silenzio che parvero eterni e Ada capì che ogni testolina era stata sicuramente colpita dall’efficacia dell’affermazione che però strideva con la logica; faticavano a capire come si potesse vedere in tutto quel buio, in tutto quel nero.
Alzò la mano la più piccola.
“Dimmi Simona.”
“Ma è proprio una preghiera?”
“Certo me l’ha suggerita Gesù per dirci che nessun bambino è lontano dai suoi occhi, anche quelli che vivono nascosti nei boschi, in alta montagna o nei paesi più lontani, li vede tutti, sempre e vuole bene a tutti.”
“Ma come fa a vederci tutti?”
Era la marmotta.
“Se vede una formica, vuoi che non veda te o Matteo, il nostro cinghialotto?”
Scoppiò una risata che rasserenò l’aula.
Quando tutti pensavano che la discussione fosse terminata prese la parola il figlio del Mazzanti.
“Signora Maestra, ma di notte? Come fa a vederci di notte?”
“Ha una grande torcia, grande e più potente di quella che hanno i vostri padri quando scendono nella miniera.”
Davide si sedette pensieroso e per quel giorno non ci furono altre domande.
Ada riprese la lezione.
“Quali sono le preposizioni semplici?”
“Le preposizioni semplici sono quelle formate da una sola parola come: di, a, da, in, con, su, per, tra, fra.”
“Da che deriva il metro?”
“Il metro deriva dalla circonferenza del meridiano terrestre.”
“Che si misura con il metro?”
“Con il metro si misura la lunghezza.”
L’indomani Ada notò che i ragazzi avevano una vivacità diversa, sembravano più felici, carichi e subito dopo l’appello avvertì una particolarissima animazione in classe, tutti a cercare Davide, a bisbigliare fra loro.
“Ma è vero?”
“Chi te l’ha detto?”
“Sei proprio sicuro?”
“Davvero?”
“Cosa c’è, cosa avete stamattina? Davide? Cos’ha fatto Davide, su alzati in piedi.”
Ritto in piedi, nel silenzio assoluto, catturò l’attenzione di tutti e con la solennità di un oratore disse:
“Questa notte, signora Maestra, ho visto le torce di Gesù!”
Quella trascorsa era una calda notte estiva e di sicuro Davide aveva visto le stelle cadenti che anche Ada aveva ammirato dalla sua finestrella; ora era lì in piedi a testimoniare la lealtà della nuova preghiera che avrebbe dato coraggio a tutti.
Ada lo guardava commossa, stringendo le mani in gesto di orazione e di ringraziamento godendosi con lo sguardo le creature tutte del bosco davanti a lei, felici e rinfrancate dalla certezza matematica che il giovane Mazzanti aveva dato loro e che li aveva definitivamente convinti che pur lassù, pur fra gli ultimi, anche per loro brillava giorno e notte una luce divina.
A quel punto Ada capì che nella scuola montana di Cravarezza era divampato un
incendio, che il cielo era sceso sulla terra, intuì il miracolo, e ancor di più si convinse della validità del monito di Plutarco e la riprova era lì davanti ai suoi occhi.
Osservava con orgoglio e soddisfazione i suoi alunni migliorare giorno dopo giorno, li vedeva sempre più attenti, più interessati, curiosi e quella loro rinata voglia di sapere accentuò ancor di più il suo impegno.
“Come si chiama il numero che si ottiene dall’addizione?”
“Il numero che si ottiene dall’addizione si chiama totale o somma.”
“Come rischiariamo noi di notte le nostre abitazioni?”
“Le nostre abitazioni di notte le rischiariamo per mezzo dei lumi.”
Non mancando mai, la maestra, di inserire, con il dettato, suggerimenti morali che riteneva sarebbero stati di aiuto.
“Scrivete: Se manco alla parola data, se mi vendico di un’offesa ricevuta, se uso una sgarbatezza, ne provo rimorso. Operando il bene quando mi si offre l’occasione o, per contrario, mancando di farlo quando mi è possibile, oppure facendo il male sento una voce interna che approva o disapprova il mio operato: è la voce del dovere. Io l’ascolterò sempre ed opererò com’essa mi detta.”
Non mancava, la maestra, di interessarli anche ai fenomeni naturali che osservavano quotidianamente.
“Di che cosa sono formate le nuvole che vagano per la volta del cielo?”
“Le nuvole che vagano nella volta del cielo sono formate da vapore.”
“Perché il vapore acqueo si solleva nel cielo?”
“Il vapore acqueo si solleva nell’aria perché è più leggero di essa.”
Prevalenti rimanevano però i suggerimenti di vita perché Ada era convinta che quei suoi primi alunni avrebbero infine lasciato Cravarezza per confrontarsi con un mondo diverso dal loro, di sicuro più ostile e così diede loro anche un decalogo.
“Pagina nuova, bambini in bella calligrafia scrivete.”
1) Non offendere gli altri nella persona, nella proprietà, nell’onore
2) Fa tesoro dei tuoi amici
3) Soccorri i poveri
4) Rispetta i vecchi
5) Difendi i deboli
6) Non deridere gli infelici
7) Conforta gli afflitti
8) Da ospitalità ai forestieri
9) Non fare la spia
10) Confessa le tue mancanze prima che altri soffrano per te
Sicura com’era che solo un cuore pieno d’amore avrebbe potuto proteggerli nella vita.
Quegli animaletti del bosco, diventati uomini, infine scesero a mare a confrontarsi con la vita, il denaro, l’amore, il lavoro, il prossimo. Ancora ricordava la gioia, la sorpresa quando quel pomeriggio si sentì chiamare, sul lungo mare, mentre in compagnia della sua amica Giulia usciva dalla sala da te.
“Signora Maestra, signora Maestra!”
“Chiamano tè.”
Ada si girò e faticò un poco a riconoscere in quel giovanotto il suo Davide.
“Davide, Davide ma che piacere rivederti, come stai, che ci fai qui a Finale Ligure?”
“Ho trovato lavoro, sono fattorino all’albergo Moroni.”
Ada capì che aveva realizzato il suo sogno, fattorino nell’albergo più esclusivo del luogo.
“Sono venuto a saldare il mio debito.”
Si commosse, l’abbracciò, se lo tenne stretto sul cuore mentre la mente la riportava a Cravarezza.
Quel giorno, restituendogli il quaderno dei compiti, l’aveva sgridato.
“Davide guarda che disordine, fatico a leggere, cosa ti succede, rimettiti in riga se no sono costretta a metterti una nota.”
Non sapeva la maestra che quella cattiva scrittura era dovuta al fatto che della matita nuova d’inizio d’anno era rimasta poco più della punta e che, scrivere con quel mozzicone che sfuggiva alla morsa di pollice indice medio, era quasi impossibile.
Lucrezia incrociò Davide al bivio e si meravigliò di trovarlo così triste, lui che era d’incitamento per tutti.
“Cos’hai?”
“Niente, niente.”
“Dai… su… dimmelo.”
E la tenerezza di cui era capace quel timido coniglietto selvatico lo indusse ad aprirsi.
“La maestra mi vuole dare una nota, il mio quaderno è disordinato.”
“Tutto qui? stai più attento, scrivi adagio e vedrai che la nota non la prendi.“
“Ma non è quello.”
“Allora cos’è?
“E’ che ho finito la matita e un’altra non ce l’ho!”
“Tutto qui?”
E subito frugò nella sua cartella ed estrasse una matita nuova.
“Tieni, per ora a me non serve, te la presto.”
“Sei sicura? Sei proprio sicura? Grazie, giuro che te la restituisco.”
E per dare solennità all’impegno si fece la croce sul cuore.
“Ciao!”
“Grazie, ciao!”
Rincuorato riprese il sentiero verso casa, sollevato anche dall’idea che avrebbe evitato la nota che per lui, ma soprattutto per papà Mazzanti, sarebbe stata una mortificazione; a Lucrezia poi non aveva parlato delle difficoltà del padre, unico a non lavorare in miniera.
Quell’anno le castagne erano gelate sugli alberi facendo venir meno la risorsa principale, anche la raccolta dei funghi era stata scarsa, i suoi avevano problemi economici, l’aveva capito dai discorsi che sentiva la sera quando mamma e papà si confidavano e si consolavano credendo che i figli dormissero; in quelle condizioni come poteva chiedere a suo padre di comprargli la matita?
La nota fu così evitata e lo scoiattolo indirizzava a Lucrezia, contraccambiato, sguardi pieni di gioia e di riconoscenza.
Una mattina però, per quietare un’insolita agitazione che aveva preso i suoi scolari, la maestra decise di passare fra i banchi e con sorpresa, quando fu vicino a Davide lo vide intento a scrivere, la testa china sul quaderno, una mano a nascondere calde lacrime che gli segnavano il viso.
Conoscendo la sua sensibilità e il suo orgoglio preferì fingere di non essersi accorta di nulla; per piangere in mezzo ai suoi compagni, lui così fiero, di certo doveva avere un grave motivo
Aspettò la fine delle lezioni.
“Davide, fermati un attimo, ti devo parlare.”
“Uhm, va bene.”
“Ti ho visto piangere prima, ci sono problemi? Cosa ti è successo?”
“Nulla, nulla Signora Maestra.”
“Nulla è impossibile, sta male qualcuno a casa?”
“No… no… ecco… stamattina mi sono accorto di una cosa e…”
“E… e… e… insomma, non spazientirmi.”
“Mi sono accorto che non potrò mantenere un impegno e penso che da domani non verrò più a scuola.”
Raccontò della matita, di Lucrezia, del suo accorgersi a mano a mano che scriveva che ciò che avrebbe dovuto restituire svaniva fra le sue mani riga dopo riga, la matita si assottigliava minuto dopo minuto e lacrima dopo lacrima ingigantiva in lui il rimorso di aver chiesto un prestito che solo ora si rendeva conto di non poter restituire, mancando così a un giuramento fatto.
“Lucrezia non mi vorrà più vedere e che diranno di me i miei compagni, che sono un uomo senza onore, senza parola!”
Ada tirò un sospiro e mentre Davide continuava a piangere frugò nella suacartella e ne trasse cinque matite nuove fiammanti.
“Ora ascoltami bene, siamo soli, questo problema lo risolviamo fra noi due e nessuno saprà mai niente, ecco tieni, sono cinque matite, una domani la restituisci a Lucrezia, le altre quattro ti serviranno per finire senza problemi l’anno in corso”.
“Ma io… .”
“Certo, non puoi restituirmele e qui è il nostro patto, il nostro segreto, t’impegni a restituirmele quando lavorerai, intesi? Qua la mano, lo sai che ho grande fiducia in te, devi però promettermi che t’impegnerai molto, va bene?”
Attanagliato da emozioni opposte, non seppe nemmeno ringraziare, rispose con un commosso sì.
L’indomani arrivata presto alla scuola Ada si sentì chiamare, qualcuno la aspettava nascosto dietro il muro.
“Signora Maestra, signora Maestra.”
“Chi c’è, cosa vuole?” “Sono il Mazzanti, sono qui, non posso farmi vedere, le devo
parlare.”
“Oh mio Signore, mi ha spaventato, arrivo, ma cos’è successo? Mi dica.”
Il “Lepre” agitato raccontò che quella sera sua moglie, nel riordinare la cartella del figlio, aveva trovato quattro matite nuove e non riuscivano a capire da dove fossero sbucate, la mattina ne aveva una sola, vecchia e mangiucchiata.
“Non abbiamo dormito tutta la notte domandandoci da dove sono arrivate quelle matite, capito… non vorremmo mai scoprire che… insomma, mi ha capito e questa mattina Bruna mi ha detto: vai presto alla scuola, parla con la Maestra, lei qualche cosa saprà.”
“Santa gente! Ma come fa signor Mazzanti a pensare che Davide possa aver rubato! Ma lo conosce suo figlio? Glie le ho date io quelle matite, sono un mio regalo.”
Il volto del “Lepre” s’illuminò e ritornò a splendere come accade quando una nuvola, che aveva nascosto a lungo il sole è scacciata da un improvviso colpo di vento; visibilmente sollevato si scusò e ringraziò la maestra.
“La ringrazio, vado prima che mi vedano i ragazzi, la Bruna mi aspetta e sarà un sollievo anche per lei sapere la verità, ma io scendo dai monti sabato, vado dal cartolaio e le restituisco le matite.”
“No Mazzanti, non ci provi nemmeno, capito, questo è un discorso fra me e Davide, ci siamo intesi?”
Ora Davide era davanti a lei fiero di aver rispettato la parola data; Ada lo ringraziò e ripose le matite nella borsa.
“Ma lei chi è?”
“Sono Lucrezia signora Maestra.”
“Ma voi due?”
“Si, lavora anche lei al Moroni, serve in sala, presto ci fidanzeremo.”
Scostò la tenda, guardò il mare, cupo quella sera, la neve aveva smesso di cadere e così come spesso accade in riviera, il tempo già stava cambiando e squarci disereno s’intravedevano al largo.
Ritornò alla pergamena, dono dei suoi ragazzi di Cravarezza, rilesse accarezzandoli uno ad uno i pensieri a lei dedicati, l’ultimo era di Davide:
“In prima le ho detto un timido ciao, in terza le ho detto un arrivederci, in quinta non mi resta che dirle grazie”.
Davide.
[ BlogLink : Teresio Bianchessi ]





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