Nel centro di una piccola città di provincia da qualche tempo, in un contenitore di legno a forma di cubo, sta un ulivo mingherlino, con una bandiera della pace appesa ai rami come un bavaglio. L’ha messo lì una gang di svitati, tutta gente anziana, un po’ malferma sulle gambe, un po’ confusa di testa. Presidio di pace, lo chiamano, e un pomeriggio la settimana vanno a presidiare il presidio, ed è commovente e anche un po’ patetico vederli in piedi intorno al loro ulivo, o seduti a un tavolino smontabile allestito per l’occasione, nel freddo dei pomeriggi invernali, quando il gelo passa dal terreno, entra nelle scarpe e sale su su per il corpo, o sotto la pioggia, bagnati come pulcini, con i loro cartelli al collo dove l’inchiostro con cui hanno scritto CESSATE IL FUOCO o PACE SUBITO o addirittura #STOPTHEWARNOW sbava e forma lunghe righe che sembrano di pianto. La gente passa frettolosa o rilassata, sono ragazzini in libera uscita, famiglie con passeggino, coppie che fanno due passi o si dedicano allo shopping compulsivo. Nessuno che si fermi al desolato banchetto degli anziani, nemmeno per chiedere se si sentono bene e se hanno bisogno di un bicchier d’acqua. Pochi che accettino un volantino nei colori arcobaleno sul quale sono scritte massime pacifiste, e se leggono qualche importante documento, oh, nessuno che si fermi ad ascoltare.
«È perché non abbiamo un microfono. Dobbiamo assolutamente procurarci un impianto di amplificazione.»
«Sì, brava, e come?»
«L’associazione *** ci aveva prestato il suo…»
«Come no, e non ti ricordi che non funzionava?»
«Potremmo chiedere quello di ***.»
«Ma quello che c’ha un generatore che fa un rumore della Madonna?»
«Ha detto il parroco di *** che potrebbe prestarci l’altoparlante che usa durante le processioni.»
«Te l’immagini? Mi-ira il tuo popolo o be-ella signo-ora…»
«Si potrebbe trovare un megafono!»
«Mia nipote ha un impianto a batteria per il karaoke…»
«E poi, ragazzi, un po’ di vivacità! Un po’ di musica!»
«Potremmo caricare su una chiavetta una playlist di canzoni contro la guerra.»
«Generale di De Gregori, La guerra di Piero, Imagine…»
«Che bellezza! Quelle sì che erano canzoni…»
«No, no! Sono sempre le solite, da cinquant’anni! La gente non le può più sentire, i giovani hanno altri gusti! Dobbiamo rinnovarci!»
«Ci sarebbe Il mio nome è mai più. O quella di Caparezza…»
«Capirai che novità! Fresche di giornata, proprio!»
«Forse c’è qualche rap contro la guerra… lasciatemi cercare in rete.»
«No, guarda, io il rap non lo sopporto proprio!»
«Ma vuoi mettere i Nomadi, i Giganti!»
«Mettete dei fiori nei vostri cannoni…»
«Perché non vogliamo mai nel cieloo»
«Molecole malate, ma note musicali»
«Che formino gli accordi per»
«Una ballata di paaceee… di paaceee…»
Tutti presi dal loro siparietto musicale, quei vecchi ragazzi degli anni ‘70 non si sono accorti che un capannello sempre più numeroso di persone si è raggruppato intorno a loro. Alla fine del coro improvvisato, con tanto di «Yeah» finale, scatta l’applauso. Signore con le borse di Max Mara e Intimissimi, mamme con bambini, coppiette di fidanzati mano nella mano, gruppi di adolescenti brufolosi, suore, agenti della Digos in borghese, tutti lì a sentirli cantare quelle antichissime melodie.
«Be’, grazie per l’attenzione, siamo commossi. Ora se permettete vorremmo parlarvi dello scandalo della guerra che, come dice papa Francesco…»





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