Pistoia, prima metà del Settecento. Siamo nel secolo dei lumi, ma in quest’angolo di Toscana non se ne avverte granché l’atmosfera, l’aria che si respira è piuttosto tradizionalista, conservatrice, sostanzialmente immobile. Una cittadina di 9700 abitanti, con ben 26 parrocchie, 23 oratori e chiese varie, 14 conventi di frati e 15 di suore. La nobiltà viene descritta come pigra, oziosa, addirittura torpida. Il popolo invece sarebbe onesto e laborioso, ma povero. Ed è proprio in una famiglia “povera ma onesta” che nasce, in un giorno di quasi primavera, il 17 marzo 1727, una bambina con gli occhi azzurri, molto belli sebbene non perfettamente allineati. Si chiama Maria Maddalena, suo padre è primo violinista della Cattedrale, in famiglia si mangia pane e musica. A volte la sera, visto che a quell’epoca non c’era Spotify per ascoltare le proprie canzoni preferite, la famiglia Morelli ospita amici per fare musica con loro. Le bimbe (a Maddalena si è aggiunta la sorellina Giovanna) vengono mandate a letto, ma una sera la maggiore si nasconde sotto un tavolo per ascoltare. Scoperta, viene sgridata, e per tutta risposta intona senza sbagliare una nota il canto che ha appena sentito.
Crescendo, Maddalena rivela una personalità decisa: sua madre le mette in mano l’ago, ma lei al ricamo preferisce “il biondo Apollo”. Vuol essere musicista, come il papà. Si è fatta anche bellina, con un fisico armonioso, braccia tornite e seno colmo, i capelli biondi e gli splendidi occhi azzurri, peccato davvero per quello strabismo, che hai voglia a chiamare “di Venere”: quando mai si è visto che essere strabica rappresenti un abbellimento per una donna? Giacomo Casanova, che di donne se ne intendeva, quando la incontra anni dopo lo dice senza mezzi termini, “è straba”, e sostiene di non averne per nulla percepito il fascino. Eppure Maria Maddalena Morelli, ammessa all’accademia di Arcadia col nome di Corilla Olimpica, di fascino pare che ne avesse in abbondanza. Poetessa improvvisatrice, violinista, grande performer, si esibiva in sessioni di “poesia all’improvviso”, un genere che nel Settecento andava assai di moda. Il pubblico andava in visibilio, lanciava gridolini e si strappava i capelli, neanche si trattasse di un’esibizione dei Beatles. Nominata poetessa di Corte da Pietro Leopoldo Granduca di Toscana, protagonista di vere e proprie tournée, applaudita ovunque, corteggiatissima e piena all’inverosimile di spasimanti e protettori (ebbe anche un marito e un figlio, en passant, ma li mollò presto e non li volle più rivedere), Corilla toccò l’apice del successo con l’incoronazione poetica in Campidoglio, a Roma, il 31 agosto 1776. Non era mica più una bambina, eh, tanto che qualcuno la definì “una pastorella di cinquant’anni”, e in suo nome si scatenò una vera e propria guerra. Suoi amici erano certi ecclesiastici antigesuiti (la Compagnia di Gesù, potentissima e troppo chiacchierata, era stata sciolta da pochi anni) e suoi avversari erano invece i cosiddetti loiolisti, i sostenitori dell’Ordine fondato da Ignazio di Loiola. Dalle stelle alle stalle, Corilla fu insultata pesantemente e divenne oggetto di feroci pasquinate: viene definita “misera pazza”, “infame furba garrula e loquace”, “meretrice”, al punto che “Gridan tutti Corilla è una puttana”. Dopo l’incoronazione poetica, con una corona d’alloro fatta in realtà da foglie di carta tenute insieme da un fil di ferro, Corilla “dovette sgattaiolar da Roma in tutta fretta.”
Oltre al fatto contingente, l’essersi trovata cioè coinvolta nella disputa tra gli amici e gli avversari dei Gesuiti, senza dubbio a scatenare la feroce “Corilleide” fu il fatto di essere donna, una donna ambiziosa, che aveva preferito la poesia al cucito, che aveva osato lasciare marito e figlio per rincorrere i suoi sogni di gloria, che aveva girato mezza Europa, avuto corteggiatori e, perché no, amanti: insomma una donna avanti per il suo tempo, per l’idea che si aveva allora della donna e del suo ruolo nella società, per l’Italia e per la piccola, asfittica Pistoia che non l’amò mai. Invecchiata, ingrossata, colpita da ripetuti colpi apoplettici, gli occhi azzurri ormai appannati, morì a Firenze l’8 novembre 1800. La corona, però, la lasciò in eredità alla sua città natale, ed è tuttora custodita presso la Basilica della Madonna dell’Umiltà, la cui splendida cupola, realizzata da Giorgio Vasari e completata da Ventura Vitoni, rappresenta una delle maggiori bellezze di Pistoia.
Info
Imagine: Pistoia, Vila Puccini di Scornio.





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