Marina Cvetaeva ha prodotto numerose lettere dal dicembre 1925 all’agosto 1941. Questo ampio insieme di scritti copre una vasta gamma di tematiche e rivela un arcipelago genuino di emozioni che palpitano all’unisono con un ritmo irregolare, ma costante.
Ogni lettera si distingue per lo stile sintattico peculiare della Cvetaeva, caratterizzato da frasi libere e ribelli, con percorsi che si diramano verticalmente tra ascese, punti salienti e proposizioni subordinate, incisi e parentesi, fino a esplorare le profondità in cui parole e concetti si fondono.
Nella sua corrispondenza, Marina Cvetaeva rispondeva scrupolosamente a ciascuna parola, dedicando preziose ore del mattino – normalmente destinate alla composizione di versi – alla corrispondenza. Sospendeva tutte le altre incombenze e urgenze è in quei momenti, mente e coscienza erano acute, concentrate e massimamente impegnate.
Ogni sua lettera è scrupolosa, vigilata con attenzione e dedizione. In ogni riga emerge intensamente la selezione delle parole (l’ossessione per le parole), testimoniando un’incontenibile necessità di ascoltare e farsi ascoltare.
L’incapacità di smettere di scrivere ha segnato profondamente la vita di Marina Cvetaeva. Mentre osservava, descriveva e cercava la verità, sentiva un desiderio irrefrenabile di utilizzare le parole degli altri, stendeva le braccia per avvicinarsi e inondava le persone con i suoi pensieri chiedendo reciprocità.
A seguire una lettera molto sentita scritta a Rainer Maria Rilke tradotta da Sergio Corrado.
A Rainer Maria Rilke
St-Gilles-sur-Vie, 9 maggio 1926
Rainer Maria Rilke!
Posso chiamarvi così? Voi, incarnazione della poesia, saprete di certo che basta il Vostro nome – ed è poesia. Rainer Maria: suona sacerdotesco – e fanciullesco – e cavalleresco. Il Vostro nome non fa rima con il tempo, è qui da sempre – sono più remote le sue origini, o più future. Il Vostro nome ha voluto, e Voi lo avete scelto. (Siamo noi a scegliere i nostri nomi, quanto avviene dopo è una conseguenza.)
Il Vostro battesimo fu il prologo a tutto il Vostro io, e il sacerdote che vi battezzava non sapeva, in verità, ciò che faceva.
Voi non siete il poeta a me più caro («più caro» è un grado), Voi siete un fenomeno della natura, che non si possiede e non si ama, al quale si resiste, oppure (ancora troppo poco!) l’incarnazione del quinto elemento: la poesia stessa, oppure (ancora troppo poco) ciò da cui la poesia nasce, e che è più grande di lei (di Voi).
Non si tratta del Rilke-uomo (all’umano siamo costretti!), ma del Rilke-spirito, che è ancora più grande del poeta, e che per me è davvero Rilke – il Rilke di dopodomani.
Voi dovete vedervi nei/con i miei occhi: la Vostra grandezza attraverso la loro grandezza – quando a Voi guardo: la Vostra grandezza – attraverso intere lontananze.
Cosa può ancora fare, dopo di Voi, un poeta? Un maestro (Goethe, ad esempio) lo si può superare, ma superare Voi – significa (significherebbe) oltrepassare la poesia. Poeta è chi oltrepassa (chi deve oltrepassare) la vita.
Voi rappresentate un compito impossibile per i poeti futuri. Il poeta che verrà dopo di Voi dovrà essere Voi, cioè Voi dovrete nascere ancora una volta.
Voi restituite alle parole il loro significato primo, e alle cose – le loro prime parole (i primi valori). Ad esempio, quando Voi dite grandioso [grossartig] dite di grande razza [grosser Art] così come lo si intendeva in origine. (Adesso «grandioso» è solo un vuoto punto esclamativo.)
In russo vi avrei potuto spiegare tutto in modo più chiaro, ma non voglio darvi il fastidio di addentrarvi nella lettura, preferisco sforzarmi io nella scrittura.
La prima cosa, nella Vostra lettera, che mi ha gettato (non – sollevato, non – portato) sulla più alta torre di gioia, è stata la parola maggio [May], alla quale avete restituito, scrivendola con la y, l’antica nobiltà. Maggio [Mai] con la i: c’è qualcosa che sa di primo maggio, non della festa dei lavoratori, che un giorno sarà (potrà essere) di nuovo bella, – qualcosa che sa del mite maggio borghese, pieno di fidanzati e (con non troppa passione) innamorati.
Alcune brevi notizie biografiche (soltanto quelle necessarie): dalla rivoluzione russa (non dalla Russia rivoluzionaria, la rivoluzione è un paese con leggi proprie – ed eterne!) sono andata – passando per Berlino – a Praga, e con me i Vostri libri. A Praga, per la prima volta, ho letto le Poesie giovanili. Ho imparato così – il primo giorno – ad amare Praga attraverso la Vostra anima di studente.
Sono rimasta a Praga dal 1922 al 1925, tre anni, nel novembre 1925 sono andata a Parigi. Voi eravate ancora lì?
In tal caso:
Perché non sono venuta da Voi? Perché Voi siete quanto ho di più caro – su tutta la terra. E molto semplice. E – perché Voi non mi conoscete. Per un orgoglio doloroso, un rispetto profondo del caso (o destino, è lo stesso). Per – per vigliaccheria, forse, per non dover sostenere il Vostro sguardo estraneo – sulla soglia della Vostra stanza. (E certo non potevate che guardarmi da estraneo! E anche se sarebbe stato uno sguardo per chiunque, dal momento che non mi conoscevate – e dunque: da estraneo!)
Ancora una cosa: mi sentirete sempre come una russa, io – Voi – come un puro fenomeno umano (divino). E questo il problema della nostra troppo individuale nazionalità: che tutto quanto, in noi, è io, per gli europei prende il nome di russo.
(Stessa cosa, da noi, con cinesi, giapponesi, negri – i molto lontani o i molto selvaggi.)
Rainer Maria, nulla è perduto, l’anno prossimo (1927) verrà Boris,’ e vi faremo visita – ovunque vi troviate. Boris lo conosco pochissimo, e lo amo come si può amare soltanto chi non si è visto mai (già stato o ancora da venire: chi verrà dopo) – mai visto o mai stato. Non è tanto giovane – 33 anni, credo, eppure ha qualcosa di fanciullesco. A suo padre non assomiglia minimamente (la cosa migliore che un figlio possa fare). Io credo solo nei figli di madre. Anche Voi siete un figlio di madre. Un maschio da parte di madre – perciò così ricco. (Doppia eredità.)
Lui è il primo poeta russo. Lo sappiamo io, e pochi altri ancora – gli altri aspettano che sia morto.
Attendo i Vostri libri come una tempesta che – io voglia o no – scoppierà. Quasi un’operazione al cuore (nessuna metafora! ogni (tua) poesia recide il cuore e lo scolpisce secondo il suo sapere – che io lo voglia o no). Nessun volere!
Sai perché ti dico: tu, e ti amo, e – – e – – e – – Perché tu sei la forza. La cosa più rara.
Non occorre che tu mi risponda, so cosa è il tempo, e so cosa è una poesia. So anche cosa è una lettera. Dunque.
Nel Vaud, a Losanna, ci sono stata da bambina, avevo 10 anni (nel 1903), e ho molti ricordi di quel periodo. Nel collegio c’era una donna negra, era lì per imparare il francese. Non imparava nulla e divorava violette. E il mio ricordo più vivido. Labbra azzurre – le labbra dei negri non sono rosse – e violette azzurre. L’azzurro lago di Ginevra verrà solo più tardi.
Cosa voglio da te, Rainer? Nulla. Tutto. Che mi consenta di levare lo sguardo verso di te in ogni istante della mia vita – come a una montagna che mi protegge (un angelo custode di pietra!). Prima di conoscerti potevo farlo liberamente, ora, dal momento che ti conosco – occorre il tuo permesso.
Perché la mia anima è ben educata.
Però voglio scriverti – che tu voglia o no. Della tua Russia (il ciclo Gli zar e altro ancora. Di molte cose.
Il tuo alfabeto russo. Commozione. Io, che come un indiano (o un indù?) non piango mai, stavo per – –
Ho letto la tua lettera vicino all’oceano, l’oceano leggeva con me, leggevamo insieme. Ti disturba se legge con me? Altri lettori non ci saranno – sono troppo gelosa (in te – appassionata).
Ecco i miei libri? – non occorre che tu li legga – posali sul tuo tavolo da lavoro e credimi sulla parola: prima di me non c’erano (al mondo, intendo, non sul tavolo!).
Sapete come ho ricevuto oggi (10 maggio) i Vostri libri? I bambini dormivano ancora (7 del mattino), all’improvviso mi sono alzata e sono corsa alla porta. Nello stesso istante – avevo già la mano sulla maniglia – il postino ha battuto alla porta – proprio sulla mia mano.
Non ho dovuto far altro che terminare il mio gesto e con la stessa mano, che ancora batteva, prendere i libri.
Non li ho aperti ancora, altrimenti questa lettera non partirà più oggi – e invece deve volare.
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