Alcuni anziani piuttosto bizzarri si erano messi in mente di creare un presidio di pace in città e a questo scopo si erano fatti prestare un ulivo mingherlino da uno dei vivai più rinomati. L’avevano piazzato in pieno centro e andavano spesso a trovarlo, gli davano l’acqua quando era un po’ che non pioveva, ripulivano il contenitore da cartacce e cicche, lo addobbavano con bandiere della pace, cartoncini colorati, nastri, luci intermittenti, lanterne cinesi, candele, fiori di carta. Se andavano al supermercato o in gita e vedevano qualcosa di carino, un gadget, un souvenir, lo compravano, “per l’ulivo”, dicevano. Si piazzavano lì, giornate intere, avvolti nelle bandiere arcobaleno, con cartelli al collo e volantini tra le mani. Se avevano un dispiacere, se a casa vedevano brutte notizie al telegiornale, prendevano e andavano da lui.
«O che fai, Giacomo? Esci a quest’ora?»
«Lasciami stare, Vanessa! So quello che faccio!»
«Ma dove vai con questa pioggia?»
«E’ vo all’ulivo, dove, se no?»
«O prendi almeno l’impermeabile, che ti viene la bronchite!»
Facevano capannello, scuotendo la testa e emettendo brontolii, come sono soliti fare gli anziani. Venivano lanciate bombe, case crollavano al suolo distrutte, bambini morivano di stenti e masse di migranti andavano alla deriva in alto mare: non sapendo come reagire si ritrovavano all’ulivo quasi volessero chiedergli consiglio. La gente che passava gli lanciava sguardi compassionevoli ma anche irritati: e allora? Non lo sapevano che il mondo andava così? Che cosa credevano di fare, radunandosi intorno a un alberello macilento, ripetendo sempre le stesse nenie? Qualcuno si avvicinava per compassione, a scambiare due parole tanto per farli sentire utili a qualcosa.
«O che ti fermi a fare, ‘un lo vedi che son rincoglioniti?»
«Cosa vuoi, mi fanno pena, potrebbero essere i miei nonni…»
«Dovrebbero farsene una ragione, la guerra c’è sempre stata e sempre ci sarà!»
«Non può esistere un mondo senza guerre…»
Poi, un giorno, successe. Era da un po’ che ne parlavano, i pezzi grossi, ma la gente non ci faceva caso: lo dicono per fare campagna elettorale, lo dicono per farsi rispettare, è un modo come un altro per fare deterrenza. Invece successe veramente, un aereo dei nostri lanciò una piccola bomba, così, per vedere l’effetto che faceva, un aereo dei loro ne tirò una un po’ più grossa, tanto per dimostrare che avevano capito. Le televisioni si riempirono di facce solenni e il reclutamento generale fu indetto.
Per prima fu una coppia di giovani fidanzati, che passando accanto all’ulivo si fermò. Poi un gruppo di ragazze chiassose. Una signora con le borse della spesa, due operai con una scala pieghevole, una classe di terza elementare in uscita scolastica, cinque suore a passeggio, un prete e il suo chierichetto che andavano a dare l’acquasanta alle case, tre volontari della Croce Verde coi loro giubbotti fluorescenti, una famiglia di sette persone compreso il cane, alcuni ragazzi che avevano marinato la scuola, sei avvocati, otto pensionati, la piccola piazza in un attimo fu piena. E di seguito le vie circostanti, tutto il centro della città, in piazza del Duomo non entrava uno spillo, la periferia, i paesi vicini, tutto il territorio del comune, la provincia, la regione, tutta l’Italia fu piena di persone che uscivano di casa in pigiama, con in mano la scopa o la pentola del minestrone, imbianchini coi pennelli sgocciolanti, commesse dei negozi, nonne coi nipotini, immigrati dei centri d’accoglienza, ladri col sacco della refurtiva sulle spalle, carabinieri in uniforme, scout con il fazzolettone al collo: arrivarono davanti al portone del Quirinale e bussarono. Aprì il Presidente in persona. La guerra non la vogliamo fare, urlarono in coro. E il Presidente telefonò al Presidente di un’altra nazione e anche lì succedeva la stessa cosa, e in tutte le nazioni del mondo, e alla fine la guerra non si poté fare.





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