Muore una persona cara o anche solo conosciuta e il senso immediato di perdita irreparabile ci getta in uno spontaneo sconforto che va immediatamente esorcizzato. È un istinto, quello che nel suo ciclo sempre si misura con il mistero della morte. E come qualunque istinto, è facilissimo che sfugga alla già labile membrana della coscienza avviando piuttosto gli automatismi della macchina cerebrale. Fra questi automatismi, sempre interessanti, c’è la irrazionale pratica di scrivere un messaggio sulla bacheca facebook della povera vittima.

Non c’è nulla di diverso rispetto a, per fare un esempio, scrivere qualche rapido verso da depositare sulla tomba del malcapitato amico. Non ci vedo nulla di ignobile, anzi, è un’umanità che mi ferisce. Ma la bacheca di facebook è pubblica: per giustificare il parallelismo, dovremmo piuttosto immaginare di ritrovarsi tutti, per caso, al cimitero; tutti insieme a depositare degli scritti dedicati al nostro povero amico. L’immagine comincia a prendere i contorni poco edificanti di una combriccola circense: sospetto che i convenuti, ritrovandosi tutti lì per la stessa ragione, non possano non sentirsi a disagio e più di qualcuno, visti tutti e non ancor veduto, penserebbe bene di darsela a gambe senza farsi vedere. Pure, non siamo ancora in perfetta adesione a quanto assistiamo online. Quando scriviamo su Facebook dimentichiamo, per un attimo, che gli altri ci leggano. È un atto privato e pubblico allo stesso tempo. Lo stesso Facebook sembra voler celare questo aspetto nascondendo la più parte dei messaggi. Ne vediamo tre, e gli altri 31 sono nascosti. È aprendo quella porta socchiusa ai 27 biglietti che mi sono imbattuto in questo omaggio dirompente per la sua geniale serendipità: Giulio amico mio… che la terra ti sia lieta.

Era il primo messaggio. Il più spontaneo: il più privato, il meno pubblico. Che la terra ti sia lieta. Chi saprebbe dire se si tratti di un refuso o di una maldestra revisione dell’antico motto? Tra le due, mi piace pensare che sia la prima. Preferisco un’umanità tenera a un’umanità scioccamente ambiziosa. Che la terra ti sia lieta. Non posso evitare di ripeterlo, mantra metropolitano. Cosa intende? Che la terra sia lieta di accoglierti? Che lui sia lieto di riandare alla terra? Ah… le parole! La levità della v cede il posto a una perentoria, con l’apertura della vocale che rintuzza e trasforma la morte in una nuova quasi… lieta. Nell’insieme c’è un sapore rustico, forse evocato dal sostrato dialettale dell’infanzia, per cui si tende a sonorizzare la e fare sorda la d. Un po’ come se dicessi è la più bella del monto. Tuttavia, una selvatichezza bonaria e ingenua che ha il raro pregio di essere umana; lontana dalla fierezza indignata di Lamartine o sconsolata di Leopardi. Un’umanità umana: semplice, innocua, intimamente simpatica. È così Giulio, spero anch’io che la terra ti sia lieta.


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