3. Parole osteggiate

Impotente destino è quello
del futuro sempiterno
malvolentieri accettare.

Tutta l’adolescenza
al vero amor cercare.
Comuni sogni di gioventù
nella realtà lucidi obliare,
significati annegare,
far perire esistenze,
vite sopprimere
aborti generare
a partire da meravigliose creature,
modelli di scolastiche capacità
visioni di beltà esteriore
possibilità,
aggregazioni mancate
aiuti mancare
ed esempi
al progresso così
di tutto l’Universo.
Quando muore un’esistenza
spezzata in un’ora
un’ora precisa,
sulla linea del tempo indimenticabile
e spiazzante
fa silenzio
è un marchio che non se ne va.
Bella pelle d’amore:
ieri non eri già lattiginosa immagine
smarrita oltre un’anima o l’altra
non vista, laggiù sei finita
appena a malincuore abbandonata.
Non porterai il lutto
per il futuro compianto
che non avresti più avuto
da quell’esatto punto di non ritorno
in cui per te l’esistenza è finita
e quale filo elettrico di lampione
pesantemente cedendo
che sul suolo s’è abbattuto,
ecco la vita trasformata
in incandescente verme
in due capi da un brutale bastone diviso:

un punto fermo, quest’apice
apparterrà a chi t’ha uccisa
l’interrogativo punto, invece
è unica tua singolare eredità
ed assegnato destino…
Più fragile di così,
ricurva sotto il peso delle tue stesse spalle,
guardi l’ombelico
dal momento esatto in cui
le due interpunzioni s’affrontano,
e scontrano occhi negli occhi,
punto per punto:
è un incidente frontale mortale.
Fragore: la realtà prevale.
Si volge, e va.
E vi siete guardate
in faccia
quell’antico giorno.

Ricorderai per sempre
accendersi il fuoco della miccia tua
che non s’è più spento.

Dopo l’incidente ancor più divampavano le lingue di fuoco.

Intorno a te il Nulla, inferno ed orrore:
dispositivo esplosivo che esploderà
o si spegnerà, ancora, ed ancora
se morirai veramente.
Quando sarà
Nemmeno lo sai,
viva per finta,
“ti sei semplicemente ritrovata
davanti al punto di vista opposto”
diktat della forte circostante
concisa costante: la Realtà.
Il punto fermo hai impattato;
è fragile quest’indefinita, inesprimibile
domanda: chi vincerà?
Ovvio. “Che vincere, poi?”
un’altra domanda
più rancore ancora,
inferno interiore
nella coscienza.
Si moltiplicano,
domande continui muta a vaneggiare
sulla scena dell’incidente
in eterno barcollando.
“Ma come mai proprio oggi, ora
in questo esatto frangente,
sicché mi condanni
con il tuo fermo?
Perché a me?”
Un amaro pegno quale eredità:
una vita perduta alle spalle
che fino ad un momento fa
nei più minimi dettagli
ancorché bambina avevi sognato
ed immaginato
con naturalità.
La vita diversa
alla quale non eri pronta
nella quale sei tuo malgrado entrata
passando attraverso il battesimo
del mortale incidente,
quella vita t’è toccata in sorte come tua unica dote
da onorare, vieppiù
per question di qualche vago precetto morale
che nella Realtà vincitrice, oltretutto, è pure prigione, punizione
o dovere da ottemperare.
Sfuggire?
Pessima idea.


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