“Mi raccomando, non scrivere niente su questo”, mi ammonisce. E’ una piccola storia ignobile di odio ideologico; se fosse risaputa, se si conoscesse in giro, molti ne soffrirebbero.
Si taccia, quindi. Mi chiedo di quanti fatti non facciamo parola, per le più svariate ragioni. Quanti racconti sussurrati, quante notizie che ci teniamo per noi. Io ne ho parecchi.
Perché potrebbero danneggiare estranei, innocenti, noi stessi. Scoppia lo scandalo, intervengono gli odiatori di professione, i tuttologi saccenti, i leoni da tastiera, le radioserva del paese. Improvvisamente non importa cosa sia realmente successo, occorre condannare qualcuno. Magari anche chi ha spifferato, chi ha osato parlare di quella verità scomoda. Si sa, certe cose non si possono dire.
Abbiamo un bel ripetere, la libertà, la verità. Voi dite in faccia alla gente tutto quello che pensate? Fin da piccoli abbiamo imparato che talvolta è meglio tacere. E’ facile offendere, molto più semplice che perdonare. Certe cicatrici comunque restano.
Mi sono ripromesso, molto tempo fa, di non mentire mai. E’ una delle ragioni ragioni per cui preferisco stare zitto, cambiare discorso, agire per omissione. Con me il pettegolezzo è su un binario morto, la chiacchera si esaurisce nei miei silenzi.
Ma talvolta mi domando se non sarebbe meglio parlare comunque, che tutti sappiano ciò che accade. Non si può agire in base a ciò che non si conosce. Quanti meno fraintendimenti, meno ipocrisie ci sarebbero, se si sapesse tutto di tutti.
Forse, quante più guerre. Perché sì, siamo cattivi, non sopportiamo la verità. Preferiremmo distruggerla.
Uno solo sa tutto di noi, e ancora ci perdona. Non per niente è Dio.
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