Regia di Pietro Marcello – 127’ 

C’è una poesia di Caproni, Rinunzia, che così recita:

L’ho seguito.

L’ho visto.

Non era lui.

Ero io.

L’ho lasciato andare.

Incerto,

ha preso il viottolo erboso.

Con un balzo è sparito

(ero io, non lui)

nel fitto degli alberi, bui”

Giorgio Caproni

Non so se Pietro Marcello avesse in mente questi versi per avviare alla conclusione il suo Martin Eden – del resto, non è questa la storia di uno scrittore, non è il film costruito sulla poesia? Da lì in poi, la realtà si frantuma sotto il peso delle prospettive più disparate (il sogno, il tempo, la coscienza, la memoria); dopo aver attraversato tutto il film, giungono a coesistere. Per consegnarci un epilogo sfumato, sfilacciato, lieve, denotativo, aperto; di cui certo cinema non sembra poter fare a meno. Non sembra possibile, mi pare, eludere certe velleità espressive, romantiche e intellettualistiche: non sembra possibile, quindi, privare una certa platea del proprio compiacimento, quando indugia all’uscita e dà voce alle impressioni più ardite, nel tentativo di coprire il vuoto del possibile, spazio indefinito, lì messo apposta.

Non che sia peccato, una tale evenienza; non che sia sbagliata, una certa abitudine. Ma qui, in questo film, dove il protagonista, bene interpretato da Marinelli – che ha convinto meno alla consegna del premio Volpi, come a ribadire che la realtà non è invenzione, né costruzione – è un individualista che non accetta compromessi; qui, si sarebbe forse potuto osare di più.

È bello vedere Eden costruirsi una cultura, trovare la voce all’intuizione e al talento. La chiave che apre un mondo, come spesso accadeva allora, sta nella borghesia. Pure, una volta conquistati gli strumenti del pensiero, la realtà non è più la stessa, ma appare per quella che è. E spesso, la si vuole cambiare, ché è brutta [1].

Ma in che modo? Ognuno fa quel che può: un politico, fa politica – se è borghese è liberale, se è socialista è socialista, se futurista, interventista. Lo scrittore puro, nello scontro con la storia, non può non essere amaro, farsi anarchico e provocatorio, individualista e perduto – bohémien, nel tentativo di espandere i limiti di una realtà insopportabile.

È bello vedere come la cultura possa dar voce al fiore della vita, che presto intona un canto all’amore che tutto pervade e non ha tempo. La regia sceglie di inseguire quei volti in primi piani disperati, nella labilità di una macchina mobile, libera, tesa a non perdere ciò che per sua natura è sfuggente – una farfalla che lieve batte l’ali e scompare, caduca.

E la ricchezza del mondo è anche considerazione che la realtà non è una, ma è molteplice: non è realtà il ricordo? Non è realtà la memoria? Non è realtà un tempo mutevole? Non è reale la voce della coscienza? È una realtà ricorsiva, cangiante, a più dimensioni, raccontata nel film con la tecnica dello stream of consciousness, e nulla si presta meglio a questo, oltre alla penna di Joyce, della pellicola che ruota proiettando immagini sullo schermo.

Su tutto, su tutti, come sempre, irrompe la storia, e la poesia si scopre infinita forza inerme. Non ha potere una voce, ha un potere incontrollabile il coro di voci, e la situazione degenera; la sceneggiatura, che ha dei momenti felicissimi e acuti, cerca e riesce, in bozzetti, a ricreare suggestioni e forze espressive. Non scontato per un film che vuol parlare di poesia.

Tavola tratta da Campana di S. Lucciola e R. Lombardi, Giuda, 2014.

Segnalazione finale, la finezza della scelta di Giordano Bruno Guerri per la parte di Marinetti che sobilla le folle chiamandole alle armi e alla guerra purificatrice. E dulcis in fundo: lo spirito di Campana che aleggia ovunque, e questo film è solo l’ennesimo tributo a un poeta che sempre meno viene considerato minore dagli artisti, mentre la critica non sa che farsene. Del resto, serve più ai primi, che ai secondi.


[1] Viene da pensare alla pagina più bella di Anna Maria Ortese, quella della povera bimba miope che riceve in dono degli occhiali e vede per la prima volta tutto ciò che le sta attorno: la Napoli dei bassi. Qui la lente è la cultura.


[ BlogLink : Altiero Righetti ]

[ Social Link : Facebook / X ]

Lascia un commento

arcipelago di cultura

Scopri di più da MasticadoresItalia

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere