Il caldo è insopportabile, in queste prigioni che sono le nostre macchine stiamo tutti incolonnati in attesa di poter godere del miraggio chiamato mare. Il vento dell’estate porta promesse di sole e spensieratezza.

Siamo io, mamma e papà. Lui bofonchia qualcosa sulla musica che passano in radio: “i tedeschi stanno ponendo le basi per la nascita per qualcosa di nuovo” dice lo speaker e la canzone dei Can, Mother Sky, parte. Sono rapito dai bassi e da una psichedelia vecchia e nuova. Chiudo gli occhi e sudo mentre mamma accende una sigaretta alla menta. Fuma e mi scruta dallo specchietto.

– Sarai mica svenuto Lorenzo?

– No mamma tutto okay.

In realtà non sto per niente bene. Vorrei sfondare il tettuccio dell’auto per far entrare aria. Non riesco a respirare. Papà tiene uno di quei suoi schifosi sigari in bocca. Tutto l’abitacolo puzza di fumo, credo che scavandogli sotto le unghie, la pelle e persino le anime i miei genitori sappiano di tabacco.

La musica diventa sempre più insistente, quasi a suggerirmi la prossima mossa nella stasi in cui siamo costretti io, papà e mamma. Lei mi passa una bottiglia d’acqua ma la mano a muoversi è la destra accanto alla portiera. La apro. Sono così rapido da sentire appena l’eco delle urla di lei e le bestemmie di lui. Corro lungo la strada che costeggia l’inizio della spiaggia. Le macchine sono ferme mentre io quasi il mare lo posso toccare.

C’è una duna, ci scivolo giù di culo come fosse neve. Non scotta la sabbia, il sole è quasi affondato in acqua. Le gambe vanno via veloci, nell’ordine salto: un lido dismesso, una coppia che amoreggia, due vecchi che passeggiano. Sembro Flash e ci sono solo io sul bagnasciuga, la fila di macchine e il caldo e la puzza di fumo sono lontanissime: la salsedine mi restituisce narici libere da tutto quello da cui sono fuggito.

Dovrei sapere perché ho lasciato la mia famiglia ma non ne ho idea, volevo solo respirare. Guardo avanti, ancora corro, l’orizzonte con la città è lontanissimo. C’è ancora sabbia da attraversare. Sposto gli occhi sui piedi bagnati. Mi siedo. Dallo zaino tiro fuori un panino con il prosciutto e un fumetto. C’è una cicca di sigaretta dove mi sono sistemato e poco più dietro un uomo con dei grossi occhiali che mi scruta.

Siamo soli.

Mi avvicino con il mio Batman tra le mani: ho corso tanto e devo sapere almeno l’ora.

– Mi scusi sa l’ora?

– Le sette.

– Saprebbe indicarmi un telefono?

– Se hai voglia di chiacchierare con qualcuno ci sono io.

– E di cosa, cos’avrebbe da dirmi di interessante lei?

Invece, quello strambo soggetto ha una storia incredibile da raccontarmi. Dice di venire dal futuro. Mi mostra una piccola scatolina con una mela mangiucchiata con cui può telefonare, ascoltare musica e scattare fotografie. Dice che nel suo tempo non ci sono più animali e che le spiagge non esistono.

– Nemmeno il mare avete più?

– Niente di niente. Abbiamo distrutto tutto. Sono qui per prelevare dei campioni di acqua, con la speranza di poter ricreare qualcosa che le somigli.

– E gli alberi?

– Nessun albero.

– E la frutta dove la prendete? Tipo le mele?

– Mai mangiata una mela fino al primo viaggio qui.

– Pazzesco. E se sei riuscito ad arrivare qui, cioè nel mio anno… l’hai fatto per mandare un messaggio a noi? Intendo cambiare vita, essere più sani e cose del genere.

– Sì, roba così. Tuttavia credo conti la felicità più di ogni altra cosa.

– Ce l’avete la musica?

– La suoniamo sulle ossa degli animali estinti.

– Macabro. E i fumetti?

– Abbiamo i nostri Superman ma non sono delle persone raccomandabili.

– Hai ancora una mamma?

Penso alla mia, mi starà cercando. Comincio a sospettare che la storia che mi sta raccontando l’occhialuto sia una pazzia. Ho incontrato un matto.

– E tu?

– No sono solo. (Non posso dirgli che ho una famiglia…)

– Vorresti venire nel futuro?

– In che modo? (I pazzi vanno assecondati…)

– Dobbiamo solo gettarci in acqua, senza vestiti e aspettare che ci vengano a prendere… tu vai con la testa giù e si apre un portale.

– Mi sa che resto nel mio tempo.

– Ti ho detto che ci sono i supereroi! E poi sei solo no? Che ti costa provare! Avremmo bisogno di un ragazzino sveglio come te.

– Se lo faccio potrò tornare a casa?

– Quando vuoi e non dimenticherai di essere stato lì, solo che dovrai tenere il segreto.

Se la sua storia è vera vivrò un’avventura di quelle indimenticabili! Cosa mi costa. Sono solo vestiti. Via tutto e dritti verso il mare.

L’uomo mi raggiunge e mi blocca la testa sott’acqua.

– Devi contare fino a cento.

10,9,8,7,6,5,4…

– Sono morto? Lo sapevo, cavolo cavolo cavolo!

– Sei nel mio tempo. Tranquillo.

La voce è la stessa dell’uomo del mare ma non aveva più la faccia di prima. Giallo e viscido e a testa in giù. Un alieno?

– Dove siamo?

– Nel mio tempo ti ho detto. Non agitarti. Sei pronto alla trasformazione?

Mi guarda dalle due fessure che dovrebbero essere i suoi “occhi” e mi parla da un piccolo buco sotto la “gola”. Piango e le lacrime tornano giù fino a bagnarmi i pantaloni. Voglio la mamma anche con la sua puzza di mentolo. Voglio la musica e il cielo! Qui è tutto così strano pare non esserci nulla. Letteralmente un buco nero.

– Non frignare. Se vuoi tornare indietro devi chiedere scusa.

– A chi?

– A te stesso per aver pensato di farla finita…

– Cosa stai dicendo?

– Hai provato ad annegare non ricordi?

Ecco. Il motivo della fuga. Il dolore, gli schiaffi, la cintura sul sedere, gli occhi gonfi a mesi alterni: destro, sinistro. Un solo carnefice: Matteucci Luciano, mio padre. La mia vita a soli sedici anni è talmente insopportabile da volermi suicidare?

– Voglio tornare indietro! Lasciami tornare!

– Vuoi una seconda chance? Non vorresti restare qui?

– Nel vuoto? Fammi tornare ti ho detto!

– Allora devi chiederti scusa.

– S…cusa Lorenzo scusa scusa.

– Non è colpa tua, torna… segui le stelle, segui la mamma…

Mi sveglio dal coma. Dal tuffo sembrano passati due minuti. C’è solo mamma la cui immagine mi suggerisce che ne è passato di tempo da quando sono in questo letto.

– Papà dov’è?

– Ci ha lasciati. Dice che è colpa sua se sei qui. Sai spiegarmi?

Piange. Scopro il camicione sformato lungo un fianco, dove c’è il livido più grosso tra tutti, memoria di un pestone del buon Luciano. La macchia però è sbiadita, il ricordo invece brucia ancora.

– Mi picchiava giorno e notte. Se mi hanno visitato l’avrai saputo… ma se ne è andato via davvero?

– Sì. Circa due settimane dopo che ti abbiamo ritrovato…sulla spiaggia… Come ho fatto a non accorgermene? A farti arrivare a un gesto così estremo figlio mio… bambino…

– Puoi aprire le tende? Vorrei guardare le stelle…

– Certo, certo.

Mamma puzza di tabacco e rimorsi, la sala è asettica. Entra un dottore, occhiali spessi e un sorriso incontrollabile per aver salvato me da morte sicura.

– Ti piacciono i supereroi Lorenzo? Ho qui una copia di Superman… fresca di edicola per te.

– Grazie doc. Mi ha salvato.

– Portarti indietro non è stato facile…

– Ci siamo già visti da qualche parte dottore?

– Lascia stare e pensa a riposare. C’è un nuovo albo di Spiderman sul comodino, il cielo è terso… sei sveglio e hai tua madre accanto. Perdonala e perdonati.

– Ci proverò.

– Ci riuscirai.


[ BlogLink : Volevo Essere un’Astronauta ]

Lascia un commento

arcipelago di cultura

Scopri di più da MasticadoresItalia

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere