Di Marco Crestani
L’etimologia incerta della parola “jazz” riflette la natura sfuggente e innovativa di questo genere musicale, nato dall’incontro di molteplici etnie e culture nella New Orleans dei primi del ‘900. Questa fusione di influenze diverse trova un parallelo sorprendente nel basket di Stephen Curry, un giocatore che, come il jazz, sfida le convenzioni e ridefinisce i confini del possibile sul campo da gioco.
Il termine “jazz”, con le sue origini misteriose che spaziano dall’africano al francese, passando per l’italiano e l’irlandese, rispecchia la versatilità e l’adattabilità di Curry. Come i primi musicisti jazz che sperimentavano con suoni e ritmi provenienti da diverse tradizioni, Curry ha rivoluzionato il modo di giocare a basket, incorporando elementi apparentemente incompatibili in un unico, fluido stile di gioco.
L’ipotesi che la parola “jazz” derivi dal verbo francese “jaser”, che significa “spettegolare”, evoca l’idea di una comunicazione rapida e improvvisata, caratteristica sia del jazz che del gioco di Curry. Come i musicisti jazz che “conversano” attraverso i loro strumenti, Curry comunica con i suoi compagni di squadra attraverso passaggi no-look e movimenti imprevedibili, creando una sorta di “chiacchiericcio” sul campo che confonde e spiazza gli avversari.
Il silenzio, elemento cruciale ma spesso sottovalutato sia nel jazz che nel basket, gioca un ruolo fondamentale nell’arte di Curry. Nel jazz, le pause e i silenzi sono tanto importanti quanto le note suonate, creando tensione, aspettativa e spazio per l’improvvisazione. Allo stesso modo, il gioco di Curry è caratterizzato da momenti di quiete apparente, pause strategiche che precedono esplosioni di azione imprevedibile. Questi momenti di silenzio sul campo sono come le pause in un assolo di jazz, cariche di potenziale e anticipazione.
La leggenda del musicista nero americano Jasbo Brown, che si dice abbia ispirato George Gershwin per un personaggio in “Porgy and Bess”, ci ricorda come figure innovative possano influenzare domini artistici apparentemente distanti. Allo stesso modo, Curry ha ispirato non solo una generazione di giocatori di basket, ma ha anche influenzato la cultura popolare ben oltre i confini del campo da gioco.
L’italoamericano Nick La Rocca e la sua Original Dixieland Jass Band, che incisero il primo disco ufficiale di jazz nel 1917, segnarono l’inizio di una nuova era musicale. Parallelamente, Curry ha segnato l’inizio di una nuova era nel basket. Il suo stile di gioco, caratterizzato da tiri impossibili e movimenti fluidi, riecheggia l’improvvisazione e la libertà espressiva tipiche dei pionieri del jazz.
Come i musicisti jazz che sapevano quando tacere per far risaltare una nota importante, Curry sa quando rallentare il gioco, creando un silenzio carico di aspettativa prima di un tiro decisivo. Questi momenti di pausa sul campo sono il preludio a performance straordinarie, proprio come le pause in un brano jazz precedono passaggi musicali mozzafiato.
Stephen Curry, il jazz e il silenzio formano un’armonia inaspettata, ma profonda. Rappresentano l’innovazione, la fusione di elementi diversi, l’importanza del ritmo e delle pause, e la capacità di creare magia da momenti di apparente quiete. Come il jazz ha trasformato la musica americana, sfidando le convenzioni e creando nuove forme espressive, così Curry ha rivoluzionato il basket, mostrando che anche in uno sport codificato c’è spazio per l’improvvisazione e la creatività.
La storia del jazz, con le sue radici multiculturali e la sua evoluzione imprevedibile, ci ricorda che la vera innovazione nasce spesso dall’incontro di elementi disparati. Allo stesso modo, il gioco di Curry è una sintesi unica di precisione matematica e creatività artistica, di preparazione meticolosa e improvvisazione istintiva.
Il silenzio, in questo contesto, diventa non solo un momento di pausa, ma uno spazio creativo. Nel jazz, il silenzio permette ai musicisti di ascoltarsi l’un l’altro e di rispondere in tempo reale. Nel gioco di Curry, i momenti di silenzio sono opportunità per leggere il campo, anticipare i movimenti degli avversari e preparare la prossima mossa sorprendente.
Così come il jazz ha trasceso le sue origini nei bordelli di New Orleans per diventare una forma d’arte rispettata in tutto il mondo, il gioco di Curry ha elevato il basket a nuove vette di espressione artistica. Entrambi ci ricordano che la vera maestria non sta solo nell’esecuzione tecnica, ma nella capacità di infondere emozione, sorpresa e bellezza in ogni performance.
Stephen Curry, il jazz e il silenzio ci insegnano che l’armonia può nascere dalle combinazioni più inaspettate. Ci mostrano che la vera arte, sia essa nel basket o nella musica, nasce dalla capacità di trovare ritmo nel caos, melodia nel rumore e, soprattutto, di creare magia dai momenti di silenzio.





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