Sono entrata nel mare. Il mio vecchio, doloroso mare.
Lo scoglio è sempre lo stesso, eppure ha delle buche a me sconosciute. Mancano alcuni pezzi che ricordavo e non ci sono più.
L’acqua mi ha accolta senza resistenze.
Che faccio ora? Mi sono chiesta. Da bambina l’acqua era un baluardo da conquistare, bisognava starci dentro dal primo all’ultimo istante, solo così aveva senso il mare. Poi si veniva per gli amici, i ragazzi, l’abbronzatura, già l’acqua perdeva importanza, era un beneficio collaterale di cui usufruire in casi estremi di caldo fenomenale.
Il mare diventava lo spazio protetto in cui fumare, di corsa e senza godersela, solo per poter dire a me stessa “L’ho fatto.” L’acqua era ora superflua, fastidiosa, nemica.
Infine ho smesso di volerla incontrare, un’amica dell’infanzia che hai deciso di perdere nelle pieghe della vita, priorità zero, anzi spero che non mi riconosca, se mi vede da lontano.
Mi sono immersa, l’acqua mi ha accolta senza protestare. Non respinge e non riconosce, l’acqua, sta lì, con o senza di te, non gliene frega proprio niente. Sono io che soffro, mi allontano, la cancello.
L’acqua mi ha accolta ma io non sapevo che fare. Di tutte le motivazioni del passato, non me ne è rimasta nessuna. Galleggio. Nuoto. Respiro. Niente. Apro gli occhi sott’acqua, stile, rana, dorso. Il nulla. Non sento.
Poi noto che il mare si sta agitando, piccole onde sospinte dal vento mi avvolgono, il mare mi caccia via, se non sai apprezzare, vattene!
Inizio a nuotare verso l’uscita, lentamente, non voglio che sia lui a decidere.
Sento chiaramente le voci di bambini che giocano sullo scoglio, ma ci sono solo io. È un’impressione, mi dico, continuo a notare. Altri schiamazzi. Da dove arrivano? Ci metto un po’ a distinguere i suoni e a capire che è il vento nelle mie orecchie bagnate a creare l’illusione. Sopra la testa mi vola un gabbiano, fauna novella, non esistevano in questa zona quando ci esistevo io.
Sono ferma lì, in quel quando, per questo non mi riconosco, per questo non riesco a guardare questo luogo per quello che è, ma solo per quella che sono stata io, qui. Fossi almeno come le pietre della scogliera, immobili e refrattarie, si consumano nel tempo senza scomporsi, spettatrici indisturbate dei cambiamenti altrui.
No. C’è la vita in me, mannaggia, sono io lo spettacolo da guardare, ma non so a che punto della storia sono arrivata.
Così mi costringo a tornare, e tornare, e tornare. Ad affrontare l’acqua di faccia, di petto, di cuore.
Mi limito a imitare la vita che fu, e in quella cerco di ritrovarmi.
Più lo faccio e più mi trovo, ma non nel passato, qui, qui, ora.
Qualcosa uscirà fuori, tra un anno, quando ricorderò com’era tornare, non esserci, perché il presente no, non lo ammaestro e quindi lo scanso.
Qualcosa uscirà fuori, tra due, cinque, dieci anni.
Ti ricordi com’è stato rientrare nel mare? Difficile, all’inizio, volevo mollare, e invece.
E invece, mi piace.
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