Sospirò. La luce del mattino filtrava attraverso le imposte, strisciando come una lama d’acciaio, fredda e inclemente, sulla sua scrivania. Ogni angolo della stanza sembrava gravare su di lui, quasi volesse immobilizzarlo lì, in quel punto. La borsa, un conglomerato di fogli e libri vecchi, sporgeva dal lato della scrivania come se volesse scappare, ma lui non la notava più. Era la stessa borsa di sempre, lo stesso tavolo di sempre, lo stesso silenzio. La casa, il matrimonio, tutto sembrava appoggiato su un perno che stava scricchiolando, eppure era troppo tardi per fermarlo. La sua vita, tanto bella nelle intenzioni, tanto assurda nella realtà.
Ma in tutto questo, tra il buio della stanza e la frenesia di una giornata che non era ancora iniziata, c’era Carlotta. Ventuno anni, di un’inesperienza che non era né innocente né pura, ma che gli dava la sensazione di un’intelligenza troppo grande per la sua età. La sua fissazione per il francese, per le sfumature della lingua, per le particolarità della sintassi, non era normale, non poteva esserlo. Lui, professore di francese, sapeva bene cosa vuol dire essere coinvolto, ma lei… c’era qualcosa di inquietante nei suoi occhi. Ogni volta che entrava in aula, lo sconvolgeva, lo faceva sentire come se, per un istante, la sua vita si fosse srotolata per lui come una pagina scritta in una lingua che non capiva più.
La fissava e non riusciva a smettere. Non si trattava di desiderio fisico, non c’era nulla di volgare in questo, no. Era qualcosa di più sottile, più pericoloso. Qualcosa che gli bucava l’anima, che lo faceva sentire vecchio e inutile. Ventuno anni e solo dieci di differenza. Un decennio che, come una distanza infinita, lo separava da lei. Eppure il peso era diventato insostenibile, un macigno che si faceva sempre più opprimente. Carlotta lo vedeva, e lui non riusciva a non sentire il dirompere della sua giovinezza, come un amore che non aveva mai vissuto, come un capitolo che non avrebbe mai potuto scrivere.
La sua mente era confusa, eppure ogni giorno si svegliava accanto alla moglie, con la consapevolezza di essere il solo a non aver mai voluto nulla di diverso. La sua vita era già tracciata, già decisa. La casa, il matrimonio, la bambina che sarebbe arrivata. Ma Carlotta, ogni volta che la vedeva in aula, ogni volta che le rispondeva in classe con quella sua voce ferma, lo mandava in frantumi. La guardava e si sentiva un uomo a metà, incompleto, incapace di scegliere. Ogni sorriso di Carlotta sembrava un colpo al suo cuore, eppure non osava fare niente. La sua mente urlava, ma il corpo restava immobile.
E quel giorno, durante una lezione su Les Fleurs du mal di Baudelaire, Carlotta gli aveva fatto una domanda che gli era suonata strana, quasi inquietante: “Professore, crede che Baudelaire fosse innamorato della solitudine o della donna che non poteva avere?” La domanda non era di quelle da discutere durante una lezione formale, non era accademica. Ma lui si trovò a rispondere con voce tremante, cercando di affermare, senza darlo a vedere, che quella domanda lo stava mandando fuori controllo. Si era costretto a sorridere, ma non aveva sentito nulla. Solo un vuoto profondo.
“L’amore di Baudelaire, Carlotta, è solo una forma di solitudine. Come quella della poesia: si crede di vivere qualcosa di reale, ma alla fine è solo una storia che raccontiamo a noi stessi. Un modo per giustificarci, per trovare una ragione per esistere. Le storie non sono mai reali. Lo sai, no?” La frase gli era venuta così, tagliente e definitiva. Sperava che fosse la risposta giusta, ma il suo cuore stava già battendo troppo forte per darsi una spiegazione.
Carlotta lo guardò, ma non disse nulla. Il suo viso era impassibile, ma per un secondo, mentre si alzava per uscire dalla classe, lui notò quella scintilla nei suoi occhi. Una scintilla che non riuscì mai a capire. Lei lo stava guardando come se sapesse tutto, come se avesse intuito ogni piccola piega della sua vita che lui cercava disperatamente di nascondere.
La settimana successiva, il professore si trovò in una spirale di pensieri che non riusciva a fermare. Carlotta non smetteva di attraversare la sua mente. Ogni volta che apriva il libro di Baudelaire, vedeva i suoi occhi. Ogni volta che pensava alla lingua francese, si sentiva risucchiato nel suo vortice. Era come se fosse lui ad aver bisogno di un salvataggio, non lei: non c’era scampo. La sua vita stava lentamente crollando, e non c’era modo di arginare il disastro.
Il matrimonio, poi, si stava sgretolando senza che lui ne fosse consapevole. Ogni mattina, la moglie gli chiedeva come fosse andata la lezione, ma la sua voce era piatta, senza interesse. Lui rispondeva meccanicamente, come sempre, ma c’era qualcosa nel suo sguardo che sembrava già lontano. La routine, che una volta lo rassicurava, ora lo faceva sentire più solo di quanto avesse mai immaginato. La casa, un tempo il rifugio sicuro, ora era un labirinto in cui si smarriva.
Una sera, dopo una lezione particolarmente difficile, Carlotta gli si avvicinò. Non c’era più la timidezza di un tempo, c’era solo una calma inquietante, come se stesse cercando di scoprire la verità senza dirla. Gli parlò ancora di Baudelaire, ma con una consapevolezza che lo scioccò. “Professore,” disse, “a volte la solitudine non è la conseguenza dell’amore, è la sua forma più pura. Non crede che, in fondo, sia la solitudine a essere veramente desiderabile?”
Le sue parole gli rimasero impigliate nella testa, ma non riuscì a rispondere. Non era una domanda che si poteva semplicemente eludere. Era una domanda che lo toccava troppo profondamente. La verità che non voleva vedere. La verità che era lì, proprio davanti a lui, ma che lui non sapeva come affrontare. Non rispose, ma non poteva smettere di pensarci. Carlotta se ne andò, come sempre, senza dire una parola di troppo, lasciando il professore a lottare con un conflitto che non sarebbe mai riuscito a risolvere.
Quella sera, mentre tornava a casa, il professore si trovò a riflettere su come il tempo fosse passato, su come fosse diventato straniero nella sua stessa vita. La moglie, la casa, la bambina che forse sarebbe arrivata… tutto sembrava un’altra vita, un’altra realtà. Carlotta non c’era più, eppure rimaneva lì, dentro di lui, come un pensiero che non si sarebbe mai dissipato.
E quando si distese sul letto, sentì il peso di tutto: il matrimonio, la solitudine, l’infatuazione, e soprattutto la certezza che niente sarebbe cambiato. Non c’era via di uscita. Poi chiuse gli occhi, ma la sensazione di non essere mai veramente sveglio non lo lasciò mai. La risposta, ormai, era ovvia. Lui non l’avrebbe però mai detta a nessuno.
[ BlogLink : Volevo fare l’astronauta ]





Lascia un commento