Quasi bizantini sussurri
Gli strali miei
Alle orecchie del mio amato
Come esse fossero
Dell’amor la soglia stessa!
Ed egli sconvolto avverte:
“Tornerò!”
Ma già un passo primo al di là
Muove del nostro comune letto.
Non in anticipo il destino
conoscere potrei
Ma in quanto a ciò
Ben istruita stata sono
da un oscuro passato,
Allora,
più accorta
Son diventata
E non un avvertimento sottovaluterei…
Come, ad esempio, questo
ingannevolmente lieve
ma violento suono
di passo
Che riconosco
quale familiare,
quale la pronta
presenza
strisciante alle porte
della Fine dell’amor nostro.
Ogni volta che prova ad afferrarti,
Avanti viene ambigua
Come ceruleo volto,
O bivio all’orizzonte incerto,
Che un dubbio silenzio impone,
Al di là.
E il silenzio
in me si fa sommessa possessione,
Soggezione
davanti all’ignota oscurità
Dell’avvenire.
Acconsento dunque a tacere
Le mie vane e varie obiezioni
Davanti al riconoscibile segno
Della fine che
Prima di noi,
Prima o poi,
sempre avevo conosciuto,
Dai miei mariti lasciata
Tutte quelle sante volte.
Ma in quest’ora sommessa
Dipendo dal Caso,
Davanti a questa
strisciante prospettiva,
Che in vece mia deciderà,
Mio malgrado
Del nostro futuro insieme.
Di sicuro di qualcosa
Colpevole dirmi potrei
Per prima io, ora.
Per sentirmi meno triste,
Potrei comunque avvalermi
Dell’abitudine all’Amorosa
Fine.
Il ricordo
Di precedenti
E deludenti esperienze
Con i malandati passi tuoi
Manifesti
Amato mio…
Improvvisamente
Essi
lo stesso suono
Hanno di quelli
Di quanti prima di te
In tal direzione
Lasciata m’hanno
Così.
Dopo la parola fine
Non c’è un’altra chance:
Allora nel dubbio,
Seppur senza un senso,
Le mani alzare conviene.
O materna ossessione,
Ignobile convenienza,
L’onnipresente fantasma della Fine!
Evitarla grazie alla forza
Della fragile esperienza,
Della femminilità
Basterebbe?
Dubbiosa,
Castigata e pentita
Di tacere
M’accontento.
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