Da fan della scrittrice napoletana Antonella Cilento non potevo non leggere il suo nuovo e corposo romanzo, La babilonese, uscito solo pochi mesi fa presso Bompiani. Si tratta di un libro ricchissimo, generoso di storie, di personaggi, sia veri che inventati, di dialoghi e di ambientazioni, ragion per cui riassumerne la trama non è semplice. Volendo essere molto sintetici, si può dire che il romanzo rincorre attraverso epoche e luoghi diversi alcuni personaggi misteriosi: una bellissima donna mediorientale, una bambina dai capelli biondi e la vestina bianca che porta sempre con sé una lanterna, un giovane molto avvenente, un uomo con i capelli e la barba riccioluti, un altro uomo dal colorito verdastro. Sono reincarnazioni successive di Libbali, moglie del re assiro Assurbanipal, del suo giovane amante, della figlia di quest’ultimo, dello stesso Assurbanipal e di un medico assassino . Libbali, per aver tradito il marito, riceve il peggiore dei castighi: Assurbanipal fa assassinare l’amante e le quattro bambine di lei. Libbali però riesce a fuggire grazie all’aiuto della bambina con la lanterna, a sua volta figlia dell’amante.
Dopo questa parte iniziale, la scena si sposta nello spazio e nel tempo: siamo ancora in Mesopotamia, ma nel secolo XIX, quando un archeologo inglese, Henry Layard, scopre le rovine della città di Nimrud (scoprirà in seguito anche quelle di Ninive: Layard è un personaggio realmente esistito). Siamo a Londra, dove Layard riceve onori e riconoscimenti per le sue scoperte. Siamo a Napoli: nel 1656, nel 1683, nel 1881 e nei primi anni Duemila. In ciascuno di questi scenari si svolgono vicende che riguardano nobili decaduti e popolani, artisti, commercianti e truffatori, persino una coppia di informatici. E ogni volta, più o meno mimetizzati, in carne e ossa o in sogno o sotto forma di dipinto, compaiono la babilonese e la bambina, il giovane affascinante, l’uomo dalla barba riccioluta e quello dal colorito verdastro. E la maggior parte delle volte la protagonista indiscussa è una Napoli caotica, plebea e nobile, superstiziosa, ribelle, ricca di pittori e artisti famosi, una Napoli che si esprime col suo dialetto inconfondibile, musicale, colorito.
Cosa rappresentano quei personaggi che dalla leggendaria Ninive, lontanissima nel tempo e nello spazio, si manifestano negli scenari più diversi, rivivendo in qualche modo il loro dramma? Rappresentano l’amore e l’odio che si perpetuano nei secoli, la vendetta o la speranza, la salvezza o la dannazione?
L’autrice non risponde a queste domande. Il romanzo corre attraverso i secoli, tocca i luoghi più diversi, proponendo a ogni generazione le eterne tematiche dell’amore, del tradimento, della vendetta, della volontà di vivere e andare avanti nonostante tutto. Conclusa la lettura, si rimane sopraffatti dall’abbondanza di personaggi, aneddoti, vicende, dalla presente ricorrenza della misteriosa babilonese con il suo corteo, dalle opere dei pittori secenteschi, dai romanzi d’appendice, dal meraviglioso dialetto napoletano, da quella Napoli che Cilento conosce così bene e che fa vivere sotto i nostri occhi nelle sue mille incarnazioni.





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