Capita, a volte, di sentirsi vive. Ma la vita non è fatta di pienezza, non è fatta di quel “tutto” che ci promettono in tanti modi: film, libri, canzoni. Il “tutto” è un concetto che si appoggia su un filo sottile, un’illusione che il cuore cerca disperatamente di afferrare, mentre le dita si fanno sempre più scivolose. Il battito accelerato, il fiato che si ferma, la luce che si espande dentro come un’esplosione che non si fa rumore. Poi, tutto finisce. E ci si ritrova a guardare il vuoto, non più come un’idea, ma come una presenza. Il vuoto che ci lascia dentro quando ci sentiamo completi è un vuoto che cresce, non si riempie mai.

Lo so. Ho visto la fine arrivare da lontano, come una nuvola grigia che non promette pioggia ma ti dà l’idea di una tempesta. Ho sentito il respiro dei nostri corpi allineati, il battito delle mani che si sfiorano per un secondo, ma quello era solo un intervallo. Un intervallo prima che la fine arrivi, come sempre, silenziosa, in punta di piedi. Non c’è mai un grido, solo il sussurro della rassegnazione che ci fa credere che sia tutto giusto, che tutto debba andare così, perché è la natura delle cose: cominciano e finiscono. Ma l’amore, la felicità, l’eternità, non sono leggi naturali. Sono idee sbagliate.

L’ho incontrato una sera di ottobre, quando l’aria è più leggera e la città sembra sospesa, come se il tempo non riuscisse a farsi strada. Si trovava lì, in quel bar che avrebbe potuto essere qualsiasi altro bar, ma che in quel momento era proprio quello in cui dovevamo incontrarci. Aveva gli occhi profondi, ma anche un po’ stanchi, come chi ha già visto troppe cose e ora non si aspetta più nulla. La cosa che mi colpì di più fu il suo sorriso, che non arrivava mai troppo in fretta, ma era una conquista, qualcosa che si guadagna con il tempo, con le parole e, a volte, con il silenzio.

Ci siamo parlati per ore, senza mai dire nulla di veramente importante. Lui raccontava storie di altre vite, storie che non avevano mai avuto un senso, ma che stavano insieme, come le pagine di un libro che non era mai stato scritto. Io, invece, cercavo di fermare il battito del cuore, come se quel suono avesse potuto tradirmi, come se ogni parola, ogni respiro, potesse rivelare quanto fosse insensato tutto ciò. Ma lui non sembrava accorgersene. O forse sì, e mi guardava con quella consapevolezza che non mi aspettavo da un volto così giovane. Mi guardava come chi sa che ogni incontro è un incontro che finirà, ma che in quel momento si può vivere come se nulla fosse.

Ci scambiammo i numeri, ma non ci fu mai una vera promessa. Non c’era bisogno di promesse, perché sapevamo entrambi che le cose sono come sono. Che, prima o poi, sarebbero finite. E così, ci vedemmo ancora una volta, e poi ancora una volta, e forse una terza volta, ma io non ne sono più sicura. La memoria gioca strani scherzi, e il mio cuore ha imparato a ignorare il dolore che arriva quando qualcosa di bello, eppure destinato a essere breve, finisce. La verità è che non c’era mai stato un “noi” tra noi. Non è mai esistito. Quello che abbiamo avuto era solo il rispecchiarsi l’uno nell’altro, un breve incontro di solitudini, come due stelle che brillano per un istante e poi si estinguono, non lasciando traccia.

Lui mi ha lasciato un biglietto, che ancora conservo nella tasca della giacca. Non l’ho mai letto fino in fondo, ma ricordo l’odore della carta, l’impressione che mi ha fatto quando l’ho visto. Un biglietto con parole che probabilmente avrebbero dovuto fare la differenza, ma che io, con il mio solito modo di pensare, non volevo leggere. La scrittura non ha mai avuto la capacità di cambiare la realtà. La realtà è sempre più dura, più inclemente, più sorda al richiamo delle parole. E così, lasciamo perdere. Non voglio più pensare a quel biglietto. A quella promessa di qualcosa che non poteva esserci.

Non è che non ci amavamo. Ma non avevamo nemmeno il coraggio di farlo. Non avevamo il coraggio di rischiare, di dire “ti amo” e credere che queste due parole potessero cambiare qualcosa. A cosa serve dire “ti amo” se lo sanno tutti che l’amore non è mai eterno? Che prima o poi finirà, e che, se non finisce, è solo perché non è mai davvero cominciato. Forse il nostro amore era una di quelle cose che vivono tra le righe di un romanzo che nessuno legge, tra le pause di una conversazione che non è mai stata abbastanza lunga. Non so dirlo. E nemmeno lui lo sa.

A un certo punto, smettemmo di cercarci. Non ci fu una discussione, non ci fu un litigio, nessuna parola sprecata. Fu solo la naturale conclusione di qualcosa che non era mai nato. Mi chiedo se anche lui ha conservato il biglietto. O forse l’ha gettato via subito, come si fa con un foglio che non ha mai avuto un significato. Io l’ho tenuto, ma non l’ho mai riletto. È diventato un ricordo fragile, che se qualcuno mi chiedesse di raccontare, non saprei spiegare. Ma forse è proprio questo il punto. Non c’è nulla da spiegare. C’eravamo, ci siamo stati, e poi non ci siamo più stati. E va bene così.

Scrivo queste parole perché, nonostante tutto, in qualche modo è sempre meglio di nulla. Scrivo perché, se non lo facessi, quel “ti amo” strozzato nella gola mi soffocherebbe ogni volta che cerco di dire qualcos’altro. Scrivo perché scrivere è l’unica cosa che riesce a fare silenzio dentro di me. E forse, quando sarò abbastanza vecchia, potrei rileggere tutto questo e pensare che, in fondo, non c’era nulla di speciale in lui, nulla che giustificasse quel sentimento. Ma oggi non è così. Oggi mi sembra che tutto fosse perfetto, anche se non lo era. Perché, alla fine, non è mai importante se qualcosa è davvero perfetto. È importante che sia stato, anche solo per un attimo.

E a te, che non hai avuto il coraggio di amarmi, che hai preferito la tua solitudine a un “noi” che non avrebbe avuto futuro, dico grazie. Grazie per non avermi fatto credere che la felicità fosse a portata di mano. Grazie per avermi lasciato scrivere questa storia, anche se, nel profondo, so che non è mai stata la nostra.


[ BlogLink : Volevo fare l’astronauta ]

Una replica a “Aurelienne – Enjoy the silence”

  1. Un scritto meraviglioso, commovente, sensibile, un invito a esplorare e riflettere che diventa un’esperienza quasi mistica. Il reale e l’irreale coesistono in noi in ogni atto della nostra vita, proprio come espiriamo e inspiriamo, proprio come il sogno che abbiamo sognato ieri, tutto è accaduto in noi, personaggi e i loro atti, tutto è emerso in noi, tutto è scomparso assorbito in noi senza lasciare traccia. Il valore della tazza, alcuni dicono che sta nella decorazione, nel materiale di cui è fatta, nel prezzo… ma il vero valore, ciò che la rende utile, è il vuoto che permette di accogliere la bevanda che calmerà la nostra sete… inestinguibile.

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