Vorrei esser capace di fare il bene
Mio
Solo mio
Che tu fai a brandelli sul tavolo apparecchiato
Come quando con un vezzo faccio a strisce la buccia d’arancia appena consumata
E qualcuno scoperchiando con lo sguardo il mio fare distratto, dice:
“Proprio come tuo nonno”
Quello che odiava la libertà del mio pensiero
Del mio essere donna.
E diceva solo che l’acqua santa e le preghiere di un prete potevano salvarmi.
Tu,
ti vesti di una diversa violenza verso ciò che sono. E additi in me altre dannazioni. Mi spingi rendendomi instabile. E poi nascondi la mano, non porgi la guancia. Guardi la trave e la pagliuzza. E il mio travaglio è nel tuo fare a maglia le insicurezze che non sapevo di avere.
Mi volti le spalle
e nel silenzio,
non rispondi a nulla di ciò che dico.
Diventi fredda,
ostile,
e con la sintesi che ti appartiene (e che invidio),
mi dici:
“Cosa c’è di sbagliato in te oggi”.
E a me pare che tu voglia solo possedermi.
Essere stata l’unica capace di addomesticare la mia voce e renderla eununca.
Quando gli altri te lo dicono questo sembra compiacerti.
Cosa c’è di sbagliato in me oggi.
Che il cielo minaccia neve, il freddo intorno mi raggiunge
Con l’ennesimo segno di un tuo “no” sul calendario.
Eppure stanotte felice avevo attraversato in sonno questa vita e le sue assenze.
Credendo che la promessa di non voler essere più sola si fosse compiuta in te.
Ma il bene di chi è amata e ama vive solo se si è visti davvero.
Tu guardi il mio bene, ma lo vedi come sottrazione al tuo.
Lo lasci sul bordo del giorno,
dimentico, inutile.
Io lo riconosco,
mio, soltanto mio.
(E ne accolgo l’ala ferita).
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