C’è una differenza tra il turista e il viaggiatore, così come c’è una differenza tra viaggio e cammino. Il turista va in località alla moda, armato di guida visita chiese e musei, fa shopping, mangia nei ristoranti segnalati. Il viaggiatore invece si prende il suo tempo, non frequenta i luoghi più rinomati e non necessariamente visita i siti considerati irrinunciabili: il viaggiatore cammina, si perde, osserva le case e le persone, fa amicizia, per qualche giorno o per qualche settimana diventa parte del territorio che sta visitando. Il camminatore appartiene a un altro genere ancora: innanzitutto si sposta a piedi, ha sempre uno zaino sulle spalle, preferisce i sentieri alle strade asfaltate, dorme dove capita, parla con la gente che incontra ma apprezza anche la solitudine.

Paolo Ciampi, giornalista, scrittore vario e prolifico, animatore culturale e chi più ne ha più ne metta, è di certo un viaggiatore. I suoi viaggi iniziano nella fantasia, prendono corpo nella progettazione meticolosa dell’itinerario, nella scelta dei mezzi da usare e del tempo da dedicare all’esperienza, si concretizzano nella realizzazione di quanto sognato e programmato, infine proseguono in una coda dopo il ritorno, che del viaggio è una componente importante, nel ripercorrere con la mente quanto visto e appreso e nel proiettarsi verso un nuovo viaggio. Questo almeno è ciò che si capisce leggendo il suo recente libro Non è il paese di Dracula (BEE, 2024), resoconto di un viaggio in Romania.

La Romania, terra a noi contemporaneamente vicina e remota, è stata l’ultimo avamposto dell’Impero romano, è un paese in cui si parla una lingua neolatina e da cui vengono molte persone con cui abbiamo a che fare quotidianamente, perché i rumeni costituiscono la più numerosa comunità di immigrati in Italia: del resto, anche gli immigrati italiani in Romania non sono pochi. Nello stesso tempo la Romania è un luogo lontano, esotico, misterioso e pochissimo conosciuto dalla maggior parte di noi. Su di essa gravano molti pregiudizi. Uno fra tutti, quello di essere, come smentisce il titolo del libro, “il paese di Dracula”. Ma pregiudizi nei confronti dei rumeni noi italiani ne abbiamo avuti molti, quando cominciarono a venire nel nostro paese in cerca di lavoro e di fortuna: i rumeni, si diceva, erano violenti e inclini alla criminalità, un pericolo per noi onesti italiani. Prendendo spunto da qualche episodio di cronaca, si tracciava il ritratto di un popolo la cui massima aspirazione sembrava quella di venire in Italia per delinquere, così come ora si dice degli africani e prima ancora si diceva dei meridionali.

Per questo è interessante leggere il libro di Ciampi, che a bordo di pullman da Bucarest si inoltra in Transilvania, Bucovina, Moldova, per concludere sul delta del Danubio, visitando città e foreste, monasteri, castelli; e mentre visita località dai nomi improbabili ripesca personaggi noti e meno noti, storici e leggendari, dal mitico principe Vlad l’impalatore al conducator Ceausescu, uno dei peggiori soggetti della storia europea del Novecento; da scrittori e scrittrici a boscaioli e birrai, fino a Nadia Comaneci, la celebre ginnasta olimpionica. Alla fine della lettura, hai la testa piena di chiese di legno e monasteri affrescati, di case contadine, di feste folcloristiche non si sa bene se allestite a beneficio dei turisti o vissute ancora con trasporto dalla popolazione, e ti senti tirare la pancia per tutte le birre e le grappe e le pietanze sostanziose ingurgitate indirettamente attraverso la pagina scritta, e ti accorgi che della Romania, tu, non ne sapevi un bel niente.

Una replica a “Non è il paese di Dracula, di Paolo Ciampi (BEE, 2024) Recensione di Marisa Salabelle”

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