“La gente quando mangia – diceva Bertold Brecht – non è mai cattiva!”.
Negli anni ’50 nelle campagne lombarde mettere insieme colazione, pranzo, cena non era così facile anche perché, allora, le bocche da sfamare erano tante e a placare quell’appetito contribuivano la stalla col latte, l’orto con le verdure, il maiale e il pollaio con la carne e naturalmente i campi di grano per la farina.
Per questo ovunque c’erano almeno due mulini e quello di nonno Piero è là dove passa la grande roggia che, con l’impeto delle sue acque, fa girare ruota e macina; ma oggi è il giorno stabilito per il ritiro delle granaglie di frumento e granoturco così in paese si sente il suo vociare: “doné ‘l mouliner!” (donne il mugnaio) e al richiamo Carolina, Clotilde e altre hanno già pronto il sacco di grano da affidargli, interrompono le faccende domestiche e si affrettano a raggiungere il carro.

Finito il giro il mugnaio è soddisfatto, gli affari sono andati bene e quasi tutte le famiglie gli hanno affidato del grano; rientrato al mulino scarica i sacchi e inizia il lavoro, divide prima le granaglie e le introduce in un setaccio per ripulirle dalla pula, dai sassolini e da altre impurità, finita questa delicata fase le versa nella tramoggia per iniziare la vera e propria fase della macina. Durante questa operazione Piero ricorda le raccomandazioni ricevute da ognuno che vuole che il suo grano sia macinato diviso dagli altri perché ritiene il proprio migliore di tutti; per soddisfare questa richiesta, all’interno della tramoggia ha collocato un campanello che lo avverte quando non c’è più nulla e quindi può iniziare a macinare il grano di un’altra famiglia.
Il mugnaio ora estrae soddisfatto la farina, la prende fra le dita per verificare la morbidezza, sembra giusta e anche il colore è candido come il latte e questo risultato è merito di sicuro dell’attenta fase di pulitura, pesa ora il sacco di farina e ha la conferma che lo scarto, rispetto al peso del grano affidato, è giusto: da 100 chilogrammi di grano ne restituisce 65 di farina, la pesatura è importante perché è quella che provoca spesso discussioni.
E’ stato anche attento ad accontentare tutti perché ognuno ha le sue preferenze, per esempio la signora Carolina vuole la farina sottile, mentre Clotilde la preferisce più grezza e così i sacchi di farina a fine settimana sono pronti e può ritornare in paese per riconsegnarli ad ognuno, sa che le farine non verranno sprecate e assicureranno pane e polenta a tutti.
Il compenso del lavoro del mugnaio? La decima, un decimo della farina ottenuta più lo scarto, ovvero la crusca che userà per l’allevamento dei maiali; soldi non ne girano e gli affari si fanno così, con scambi e quel 10% serve in parte a sfamare la sua famiglia, l’eccedenza la rivenderà alle famiglie più povere che non hanno campi propri da coltivare e quindi non fanno raccolto.
Con tutta la crusca che si ritrova Piero alleva scrofe che gli partoriscono tanti, ma tanti maialini.
Perché lo fa? Pensa già a San Martino, giorno di traslochi, molti dal paese si trasferiranno in cascine perse nella campagna, il mugnaio dona loro il maialino e con questo gesto li lega a doppio filo al suo mulino, a lui si rivolgeranno per il fabbisogno di farina per la famiglia, ma anche per rifornirsi di crusca per ingrassare il maiale. Furbo il nostro mugnaio!

Il mulino è in funzione tutto l’anno, unica eccezione quando asciugano la roggia per ripulire l’alveo, durante questa pausa forzata Piero approfitta per fare pulizia e manutenzione alla ruota soprattutto, ma anche alla tramoggia e tutti gli ingranaggi vengono lubrificati; le emergenze del periodo le risolve Batista, l’altro mugnaio, che macina sull’altra roggia che non è ancora in secca, un favore che si scambiano tutti gli anni in buona amicizia.
[ SiteLink : Teresio Bianchessi ]





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