Desidero dedicare la trattazione al parenting ovvero a quel processo relazionale di cura che intercorre tra genitori e bambini. Nel far ciò non andrò troppo nello specifico circa le diverse teorie o le funzioni proprie della genitorialità. Vorrei aprire uno spazio di riflessione circa un fenomeno cui assisto in maniera crescente durante i miei percorsi di supporto alla genitorialità.
Diventare genitore è qualcosa che comincia piuttosto presto nella nostra vita. Se essere genitori è attestato nel registro del reale con la nascita di un bambino, in termini prettamente psichici accade qualcosa di diverso. Diventare genitori implica dare spazio, nel proprio mondo interno, all’idea di bambino e pensarsi (per poi agire in qualità di) caregiver.
Genitore quindi non è essere “genitori reali” ma possedere uno spazio psicodinamico interno che sarà ausiliario (dato in prestito), per lo sviluppo di un IO altrui (quello del bambino). E’ fin dalla nostra infanzia che tracciamo un percorso circa quella che sarà la nostra futura (per chi lo desidera) genitorialità; è in questo periodo del ciclo di vita che interiorizziamo comportamenti, aspettative, desideri e fantasie (genitore interno).
Andando più nel dettaglio circa il parenting in senso stretto, facendo luce sui più ampi aspetti delle competenze genitoriali possiamo menzionare, per esempio, le azioni concrete per procedere alla cura dei propri figli (educazione, alimentazione, sostegno e sviluppo dell’autonomia, sviluppo dell’identità, comunicazione). Per quanto concerne i processi psichici, invece, ricordiamo lo spazio interno che accomuna i due partner relativamente all’accoglimento dell’essere “madre o padre”.
Capita non di rado che il genitore si trovi esposto ad una sorta di conflitto quando messo innanzi al fatto che il figlio non gli corrisponde.
Tendenzialmente, madri e padri, riversano sui propri figli aspettative, desideri, punti di vista (certo non sempre con finalità manipolative o malevole), che rischiano però di impantanare il piccolo o la piccola in un’ombra parlata1 altamente fagocitante che, molto probabilmente, non gli corrisponde.
L’ombra che segue quei bambini che si ammalano, che si presentano da me come fortemente psicosomatici appartiene spesso a bambini non ascoltati.
Riempiamo le agende dei nostri figli con impegni che nella maggior parte dei casi non hanno scelto oppure, se lo hanno fatto, è perché desideravano la nostra approvazione. Sono bambini figli del desiderio genitoriale certo, ma non di quel desiderio massimo, incontro della dualità di coppia che si fa uno per generare, seminare e accogliere l’altro al di là di ciò che è oppure che sarà. Si tratta di un desiderio “pervertito” dal proprio irrisolto.
Sono questi, genitori che persistono nel vivere attraverso i propri bambini visti come gingilli che devono essere perfettamente lucidati ed esposti al godimento altrui (se lui è bravo allora io sono bravo!).
Non ascoltiamo i nostri bambini, mai, pur quando siamo convinti di farlo.
Non li ascoltiamo perché l’ascolto implica quel tempo che notoriamente ci manca.
Non sono io a doverti dire chi sei, ma sei tu a dovermelo dire; questa dovrebbe essere la regola aurea.
E’ normale fornire ai bambini riferimenti identificatori e socioculturali circa chi essere, la famiglia di appartenenza e la più ampia cultura ma non possiamo sostituirci al loro normale percorso di vita.
“Lui è timido; lei è svogliata; lui è maldestro; lei è antipatica; lui è uguale al padre; lei è uguale alla madre (..)”
I giudizi di valore permeano e restano come eco in noi rischiando di influenzare tutto il resto delle nostre scelte e il modo di vedere il mondo. Per fortuna ci sarà l’adolescenza a riportare gli equilibri proprio rompendoli; quanto più l’adolescente sarà diverso da noi, contraddittorio e quanto più ci sfiderà tanto meglio sarà per la sua identità.
Ragazzini che non provano a minare l’autorità di solito convertono fortemente presentando, prima o poi, un sintomo.
In definitiva (ci) ricordo di sintonizzare le nostre orecchie sulla stessa frequenza in cui vibrano quelle dei nostri bambini; siamo noi a doverci adeguare al loro mondo.
Il mondo di domani, il futuro, non sarà il nostro mondo. Noi abbiamo agito e agiamo nel qui ed ora del nostro tempo. I bambini che domani saranno adulti, conoscono meglio di noi il mondo che li aspetta perché lo stanno cominciando a vivere ora e lo vivranno sempre di più domani. Pretendere da genitori, di sapere come vanno le cose, è leggermente incorretto epistemologicamente poiché il domani non è nostro.
Ascoltare: sempre.
Dott.ssa Giuseppina Simona Di Maio,
Psicologa Clinica, Albo degli Psicologi della Campania n.9767
Esperta in Disagio giovanile, devianza sociale e comportamenti a rischio,
Esperta in malessere adolescenziale e adolescenza
Psicologa scolastica,
Svolge attività di prevenzione, diagnosi e cura per la persona, i gruppi, gli organismi sociali e la comunità.
1Nessuno nasce in un corpo de-storificato, lontano dalla cultura socio culturale in cui il futuro essere umano si troverà calato. Prima della nostra venuta al mondo, infatti, noi siamo stati pensati, detti e parlati; siamo stati anticipati. Questa anticipazione che per la Aulagnier (1975) prende il nome di “ombra parlata” ed indica quello spazio in cui l’Io del futuro nascituro “può avvenire”, si presenta come una sorta di legatura di valore musicale che, sommando il prima desiderio (materno e della coppia genitoriale) di bambino, unisce, raddoppia e (forse) salda la soggettività materna e quella del nuovo nascituro.





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