Oggigiorno, le persone bene informate sanno per certo che l’Universo non è nient’altro che una macchina senza significato.
Poiché è senza scopo, possiamo affermare che essa appartiene non al Cosmo ordinato, ma al Caos. Questa Macchina Caotica Universale non ci ama, anzi, rappresenta un costante pericolo, perché è onnipotente, meccanica e indifferente. La civiltà non sarebbe quindi che una interminabile e assurda lotta contro di essa, data l’impossibilità di riconoscere qualcosa di più alto. Perché lottare, poi?
I primi pensatori moderni credevano che un universo nel quale il senso del divino fosse cancellato avrebbe permesso all’umanità di mostrare i suoi veri colori. Beh, lo ha fatto. Non è un bello spettacolo.
La letteratura distopica e la storia ce l’hanno illustrato bene, cosa significa adorare la Macchina Caotica Universale. Huxley, Orwell, le terribili ideologie del ‘900, i loro eredi di questo secolo sarebbero dimostrazione sufficiente, se lo si volesse vedere. Spesso, purtroppo, non si è in grado di farlo, perché ormai abbiamo assimilato il ronzio della macchina, ci siamo abituati ad esso e non lo percepiamo neanche più.
Eppure dovrebbe essere ormai chiaro. La parola macchina non è sinonimo di essere umano. La parola “umanità” parla di aspetti del nostro essere che non possono essere ridotti a un meccanismo.
Che l’uomo aspiri ad essere più di un ingranaggio, un tempo era ridicolizzato dagli adoratori della Macchina, e dichiarato atteggiamento infantile. Oggi essi preferiscono affermare che è la Macchina stessa a fornirci quell’aspirazione, un astuto trucco biochimico per farci funzionare meglio. Così tutte le istituzioni, a partire dalla famiglia e comprese quelle religiose, sono doni della Macchina, olio per le sue ruote dentate. Una istituzione religiosa è parte di quel meccanismo sociale che convince noi povere macchinine di non essere tali, tratto indispensabile per andare avanti in un universo senza amore e senza scopo.
Ma c’è un problema. Quando consideriamo queste istituzioni come meccanismi, esse cessano di funzionare. Se ci sentiamo a casa in esse, se costituiscono ciò in cui ci muoviamo ed esistiamo, se riusciamo a capire queste righe che stiamo leggendo è perché pensiamo loro e noi qualcosa di più di semplici macchine che ticchettano senza ragione. Neanche il sociologo più sfegatatamente ateo e meccanicista del mondo riesce a trattare i propri cari (parola già rivelatrice) senza affetto, come dei pezzi di carne qualunque. Nemmeno lui ci crede davvero, alla Macchina Caotica Universale.
Deve riconoscere una incomprensibile affezione. Incomprensibile solo per una macchina.
Se riconosciamo questa affezione, tutta la realtà diventa segno di qualcos’altro. Assume valore, come la rosa che hai regalato alla tua bella e che ha un significato differente per lei e per te rispetto a un ammasso di cellulosa colorata qualsiasi. La farà seccare per conservarla, magari la metterà in un libro, una cornice; non lo farebbe con qualunque fiore, lo fa perché “quel” fiore è diventato segno, rimando a un significato.
Se il reale, ciò che ci circonda, non è segno, è noia e indifferenza e sopraffazione. Perché se non si riconosce qualcosa di più alto non è che si rimane indifferenti, si diventa preda dell’alternativa che sta in basso. Come la storia e la nostra esperienza dimostrano.
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