Presenza discreta, gentile e misurata, il pubblico del cinema cominciò a conoscere questa attrice, insolita per Hollywood, e seppe apprezzare la sua capacità di creare davanti alla macchina da presa una figura di donna dalla personalità inconfondibile, sostenuta da una grande forza morale, da una calda umanità, una donna moderna e soprattutto vera. La stampa dell’epoca si accorse subito di quanto fosse distante dalle dive sexy, provocanti e glamour: al contrario, suggeriva l’immagine di una bellezza tranquilla, esaltata da un carattere che comprendeva intelligenza, comprensione, e amore per tutto ciò nella vita ha un significato e un peso effettivo e duraturo. Non si riusciva assolutamente a immaginarla stampata su un calendario o sulla copertina di un giornale, con il suo modo di fare maturo e la sua dolcezza materna.

Dorothy Hackett McGuire, nata a Omaha (Nebraska) il 14 giugno 1916, iniziò a recitare nella compagnia teatrale della scuola sognando Broadway, ma la passione per il palcoscenico la portò a trascurare gli studi e i genitori decisero di rinchiuderla in collegio, permettendole così di concludere gli studi con il conseguimento del diploma. La passione per il teatro, nonostante il collegio, rimase, tanto che, finiti gli studi, decise di trasferirsi a New York, dove ottenne inizialmente solo piccole parti in commedie di scarso rilievo. Fino a quando Broadway indisse un’audizione per cercare la protagonista di Claudia di Rose Franken: Dorothy coraggiosamente si presentò, consapevole che questa avrebbe potuto essere una grande occasione per lei, e dopo il secondo tentativo ottenne la parte. Era il 1941 e Dorothy ottenne un successo personale nel ruolo della moglie bambina, dal fascino schivo ed introverso.

Il produttore David Selznick acquistò i diritti della pièce, ma li cedette alla 20th Century-Fox che ne trasse l’omonimo film del 1943, diretto da Edmund Goulding, in cui la McGuire ottenne la parte interpretata a teatro. L’attrice ebbe così modo di esordire nel cinema come protagonista e il pubblico ne decretò l’immediato successo. Due anni dopo sostituì Gene Tierney in Un albero cresce a Brooklyn, di Elia Kazan e con la sua interpretazione di madre affettuosa e paziente riscosse il consenso della critica più severa. Prestata poi alla RKO, recitò in tre importanti film: Il villino incantato (1945) di John Cromwell, nel quale è una ragazza scialba che s’innamora di un reduce sfigurato; La scala a chiocciola, un classico dell’orrore girato in stile espressionista da Robert Siodmak, in cui Dorothy è l’indimenticabile ragazza muta, presa di mira da un feroce assassino psicopatico; e infine Anime ferite, di Edward Dmytryk, in cui è una vedova di guerra che si lega a un giovane appena tornato dal fronte.

Sempre nel 1946 recitò, invece, senza troppa convinzione nel seguito del suo film d’esordio, La vita è nostra, questa volta per la regia di Walter Lang. Apparve controllata come sempre, ma più elegante e raffinata del solito, al fianco di Gregory Peck in Barriera invisibile (1947) di Kazan, per il quale si aggiudicò una nomination all’Oscar. Pur essendo giunta al massimo delle sue capacità espressive, in seguito non ricevette più offerte stimolanti: affiancò Burt Lancaster nell’eccentrica commedia L’imprendibile signor 880 (1950), poi lasciò freddi pubblico e critica con Perfido invito (1952) al fianco di Van Johnson. Da lì in poi si vide affidare per lo più ruoli di caratterista o comunque di secondo piano, spesso di moglie e madre.

Nel 1954 apparve in un film di notevole successo commerciale, Tre soldi nella fontana, di Jean Negulesco, nel quale è la più sfiorita delle tre donne americane che trovano l’amore a Roma. A causa di un precoce invecchiamento, si trovò sempre più spesso a impersonare donne più mature della sua età: ad esempio ne L’imputato deve morire (1954) di Mark Robson, ricopre il ruolo piuttosto incolore della segretaria di un avvocato, mentre molto più incisiva fu la parte della trepida moglie di un quacchero ne La legge del Signore (1956) di William Wyler.

Accettò quindi un ruolo rifiutato da Barbara Stanwyck nel melodramma La mia terra (1959) di Henry King, accanto a Rock Hudson, e si ritrovò nel cast di Scandalo al sole, diretta da Daves, sotto la cui regia avrebbe recitato ancora due anni dopo in Qualcosa che scotta (1961), dove è una madre che, per evitare uno scandalo, finge di aver partorito lei il bambino illegittimo di sua figlia. Dagli anni ’60 le sue apparizioni iniziano a diradarsi; fa la sua parte nel ruolo della Madonna, nel kolossal religioso La più grande storia mai raccontata (1963), e questo di fatto segna l’abbandono di Hollywood a favore della televisione, nella quale lavora fino al 1990, facendosi notare nel 1978 nella parte della madre delle sorelle March, nella miniserie Piccole donne.

Dorothy McGuire è scomparsa a 85 anni, il 13 settembre 2001, in seguito a un arresto cardiaco.
Si era sposata con John Swope, fotografo del magazine Life, da cui ha avuto un figlio, Mark, e una figlia, Topo, attrice anche lei. Rimasta vedova nel 1979, non si è più risposata.

«Nella mia vita ho dato troppe cose per scontate, e purtroppo ho sempre avuto modo di pentirmene»

Una replica a “Dorothy McGuire, la signora di Hollywood by Raffa”

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