Il viaggio letterario e reale subirà ancora innumerevoli adattamenti, riflettendo i mutamenti dei modelli culturali di riferimento, dell’immaginario collettivo.
Nella letteratura novecentesca esso diventa espressione del disorientamento dell’uomo contemporaneo, viaggiatore alla ricerca di un’identità perduta: pensiamo al viaggio-trappola di Mattia Pascal (1904) o al viaggio di Leopold Bloom per le vie di Dublino (Ulisse di Joyce del 1922), l’ultimo approdo di un Ulisse naufrago in un mare tutto interiore.
Il tema ha poi conosciuto trasformazioni significative all’interno della odierna cultura e civiltà di massa, dove sono comparsi nuovi viaggiatori reali, gli astronauti, e nuovi viaggi letterari, i racconti e i romanzi di fantascienza. Il cosiddetto “villaggio globale” ha poi generato i suoi viaggiatori, immersi-dispersi in uno spazio tecnologico-industriale che rischia di esaurire il fascino dell’ “altrove”, dell’ignoto.
Questo mondo globalizzato e problematico ad alto rischio di autodistruzione, la città moderna votata ad una crescita indiscriminata, diventano nelle Città invisibili (1972) di Calvino lo spunto per un viaggio mentale e atemporale nell’immaginario, una sorta di fuga e nello stesso tempo di riflessione (e di reinvenzione/ricreazione) sul reale, sul visibile, sulla storia e sul rapporto uomo/natura, civiltà/ambiente, attraverso il sogno, il desiderio, la metafora, il meraviglioso.
Si trasforma così la figura di Marco Polo che, da preciso e obiettivo osservatore e descrittore di meraviglie visibili e reali, diventa il narratore cui spetta descrivere con la stessa precisione nelle sue relazioni di viaggio a Kublai Kan, imperatore dei Tartari, città ipotetiche, fantastiche, visionarie, incredibili. Eloquente è l’incipit «Se volete credermi, bene» che apre la descrizione della città Ottavia a confronto con la formula «Sappiate veramente che» ricorrente nel Milione. Paradossalmente, Polo narratore delle Città invisibili recupera quel simbolismo e allegorismo medievale che Polo narratore del Milione aveva abbandonato in favore di un atteggiamento moderno, pre-scientifico.

Ecco la descrizione di Ottavia:

Se volete credermi, bene. Ora dirò come è fatta Ottavia, città-ragnatela. C’è un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traversine di legno, attenti a non mettere piede negli intervalli, o ci si aggrappa alle maglie di canapa. Sotto non c’è niente per centinaia e centinaia di metri: qualche nuvola scorre; s’intravede più in basso il fondo del burrone.
Questa è la base della città: una rete che serve da passaggio e da sostegno. Tutto il resto, invece d’elevarsi sopra, sta appeso sotto: scale di corda, amache, case fatte a sacco, attaccapanni, terrazzi come navicelle, otri d’acqua, becchi del gas, girarrosti, cesti appesi a spaghi, montacarichi, docce, trapezi e anelli per i giochi, teleferiche, lampadari, vasi con piante dal fogliame pendulo.
Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge.

Bauci è città assente, invisibile per eccellenza:

Dopo aver marciato sette giorni attraverso boscaglie, chi va a Bauci non riesce a vederla ed è arrivato. I sottili trampoli che s’alzano dal suolo a gran distanza l’uno dall’altro e si perdono sopra le nubi sostengono la città. Ci si sale con scalette. A terra gli abitanti si mostrano di rado: hanno già tutto l’occorrente lassù e preferiscono non scendere. Nulla delle città tocca il suolo tranne quelle lunghe gambe da fenicottero a cui si appoggia e, nelle giornate luminose, un’ombra traforata e angolosa che si disegna sul fogliame.
Tre ipotesi si dànno sugli abitanti di Bauci: che odino la Terra; che la rispettino al punto d’evitare ogni contatto; che la amino com’era prima di loro e con cannocchiali e telescopi puntati in giù non si stanchino di passarla in rassegna, foglia a foglia, sasso a sasso, formica per formica, contemplando affascinati la propria assenza.

Nel presentare il suo libro nel corso di una conferenza tenuta alla Columbia University di New York nel 1983, lo stesso Calvino spiega il perché della scelta di Polo:

In tutti i secoli ci sono stati poeti e scrittori che si sono ispirati al Milione come a una scenografia fantastica ed esotica: Coleridge in una sua famosa poesia, Kafka nel Messaggio dell’Imperatore, Buzzati nel Deserto dei Tartari. Solo Le Mille e una notte possono vantare una sorte simile: libri che diventano come continenti immaginari in cui altre opere letterarie troveranno il loro spazio; continenti dell’«altrove», oggi che l’«altrove» si può dire che non esiste più, e tutto il mondo tende a uniformarsi.

Le città invisibili sono, secondo le parole di Calvino, «un ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città», un atto di difesa delle città e del mondo in generale attraverso il recupero di alcuni valori; sono anche un omaggio alla fantasia e alla mente del “viaggiatore”, sia esso narratore o lettore.
È un libro molto strutturato, esatto, geometrico (55 città, ognuna chiamata con un nome di donna, organizzate in undici gruppi o serie di cinque elementi ciascuno: le città e la memoria, le città e il desiderio, le città e i segni, le città e gli scambi, le città sottili, le città e gli occhi, le città e il nome, le città e i morti, le città e il cielo, le città continue, le città nascoste), frutto di una letteratura proposta come una sorta di tecnica e gioco combinatorio, perciò lontana dall’angoscia, dall’interiorità dell’avanguardia del primo Novecento. Eppure è un testo indefinibile, enigmatico, polisemantico, inesauribile e affascinante.
Calvino lo definisce «un libro fatto a poliedro, e di conclusioni ne ha un po’ dappertutto», un libro che «si discute e si interroga mentre si fa», alla ricerca di «chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

Raffaella Di Meglio (classe 1971) si è laureata in Lettere moderne e insegna materie letterarie in un liceo. Ama camminare e fare trekking, ama il contatto con la natura, viaggiare, leggere. (Link)

Una replica a “Il Marco Polo di Calvino: le Città invisibili by Raffaella Di Meglio”

  1. dovrò rileggerlo. Grazie per questa accurata analisi

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