Ci sono luoghi che ho chiamato casa. Stanze, auto, divani. Abbracci, pensieri, sicurezze.
Mi sono sentita a casa sui vagoni dei treni o sugli autobus, con Battisti nelle orecchie e tante lacrime ad appannare gli occhi.
Mi sono sentita a casa tra sconosciuti, sconosciuta a me stessa.
Ci sono luoghi che sono case, in cui io non mi sono sentita a casa. Dimore accoglienti e calde, piene di amore per me. Spazi in cui io non volevo stare, nonostante tutto quell’amore. Stanze dalle quali mi sono allontanata portando con me il peso di non amare, sapendo che stavo voltando le spalle a chi non l’avrebbe fatto. E per me questa è ancora una colpa: non amare chi mi ama.
Ci sono case che ho amato profondamente e in cui non potrei tornare, ora. Perchè avrei bisogno di tornare ad essere quella persona che amava in quel modo e non posso più permettermelo. Perché oggi non amo più così ma quel modo totalizzante, invischiante e senza confini è stato il primo che ho conosciuto, l’unico che ho sperimentato per anni e adesso mi sto salvando. Eppure quell’amore che ho provato, e che ora non provo più, mi sembra sempre una ferita troppo dolorosa e un giorno vorrei svegliarmi e sentirmi guarita.
Ci sono luoghi che ho amato, in cui ho amato e in cui sono stata amata per come mi mostravo.
Alcuni luoghi sono più difficili di altri. Sono più complessi da sentire e più facili da piangere, da sentirne la mancanza. Sono inquieta e mi sembra che l’unica cosa che vorrei è tornare a casa. Ma cos’è casa?
Casa è tutto ciò che mi fa piangere. È tutto ciò che mi manca, ciò che mi è sempre mancato.
Sarebbe bello ricompormi con uno schiocco di dita, smettere di sanguinare, ma sono ancora a pezzi da quando sono andata via di casa.
Perché casa è dove amo e sono amata, dove mi comporto secondo le aspettative di tutti, dove sono brava e faccio sempre la cosa giusta. Dove non deludo nessuno. Dove amo in quel modo totalizzante che mi è stato insegnato. E allora casa è dove non cresco. Dove non scelgo. Dove non mi espongo. Dove non mi affatico. Dove so già tutto. Dove ho tutto. Dove tutto è già scritto. Dove tutto è immobile, immutato ed immutabile. Casa è l’incapacità di pensarmi diversa da ciò che per gli altri è giusto. E allora casa è dove io smetto di essere, di desiderare e di sentirmi in colpa per gli altri. Perché non metto confini.
E invece ho scoperto che sono anche fallibile, che posso far male, che posso volere altro.
Ho scoperto che posso non amare chi mi ama e tuttavia continuare ad esistere, a vivere con forza e convinzione. Ho scoperto che posso anche amare chi non mi ama e continuare lo stesso ad esistere e, con la stessa forza e convinzione, andarmene.
Io, a casa, non sapevo di esistere a prescindere da chi mi ama. Da chi amo.
E ora che sono persa nel mondo e nei brandelli di me, cosa chiamo casa?
A volta casa è il divano del mio psicoterapeuta, altre volta la sedia-banco di una scuola, oppure il mio letto il sabato mattina, mentre ci bevo il caffè.
Prima casa era la sensazione che nulla potesse cambiare, che io non potessi desiderare altro. Che non potessi tradire ciò che avevo, ciò che volevo.
Oggi casa è la certezza di poter deludere. E poterlo sopportare. Di poter sbagliare senza essere sbagliata. Di sentirmi capace.
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