Dotata di rara sensualità e di una bellezza non convenzionale, Jeanne Moreau ha impersonato un nuovo modo di essere donna, rappresentando le inquietudini che premevano sulla società. Al di là della sua evidente bravura e dell’intensità di quel broncio inimitabile, di lei rimane la voce graffiante, resa roca dalle immancabili sigarette che fumava in continuazione, e che teneva in mano, nella vita e sullo schermo, con inconfondibile ed erotica passionalità. Così ha lasciato un segno indelebile nella Nouvelle Vague e nel cinema moderno. Donna intelligente e sensuale, naturalmente portata per i ruoli di femme fatale, attrice completa, duttile e capace di prove intense, sia drammatiche sia comiche, è stata la più versatile interprete del cinema francese degli anni Sessanta, protagonista assoluta della scena come star feticcio della Nouvelle vague e del cinema d’autore.

Jeanne era nata a Parigi il 23 gennaio del 1928. Il padre era proprietario di un famoso ristorante a Montmartre, La Coche d’Or, la madre, Kathleen Sarah Buckley, era una ballerina inglese alle Folies Bergère. Da ragazzina voleva fare la violinista o la ballerina. Un pomeriggio, da adolescente, accompagna le amiche a vedere l’Antigone a teatro: capisce che il palcoscenico è la sua strada. All’insaputa dei genitori segue i corsi di arte drammatica di Dennis d’Ines per poi iscriversi al Conservatoire national d’art dramatique di Parigi. Debuttò nel cinema nel 1949 in Dernier amour di Jean Stelli e negli anni seguenti si mise in luce in ruoli da comprimaria, fino a conquistare il primo ruolo da protagonista ne La regina Margot (1954) di Jean Dréville.

Salì alla ribalta internazionale con Ascensore per il patibolo (1957) di Louis Malle, un altro noir in cui, interpretando un’adultera che spinge l’amante a uccidere suo marito, poté esprimere appieno le sue doti intensamente drammatiche. La sua notorietà aumentò con Gli amanti (1958), ancora di Malle, un dramma sentimentale ispirato a un racconto libertino, film scandalo per l’epoca, che narra le avventure extraconiugali di una donna borghese in cerca di un’improbabile fuga dal suo matrimonio; ad esso seguì un altro film ‘proibito’, Le relazioni pericolose (1959), di Roger Vadim, che contribuì a dare dell’attrice un’immagine di donna disinibita e anticonformista. Qualità perfette queste per interpretare Catherine, l’indimenticabile protagonista dal sorriso misterioso di Jules et Jim (1962) di François Truffaut, tragica storia del rapporto fra una donna e due amici con lei conviventi: un esempio di coppia aperta che suscitò scalpore e rafforzò quell’immagine di donna libera idealizzata dalla nouvelle vague, per la quale la Moreau era una musa rivoluzionaria.

A partire dal 1960 l’attrice si divide fra il cinema europeo e quello statunitense, di volta in volta chiamata da registi di fama quali Joseph Losey (Eva), Orson Welles (Il processo), Luis Buñuel (Il diario di una cameriera), J. Frankenheimer (Il treno), Louis Malle (Viva Maria!) e Tony Richardson (…e il diavolo ha riso). Nel 1968 di nuovo Truffaut la dirige ne La sposa in nero, un originale omaggio al maestro del brivido Alfred Hitchcock. Negli anni Settanta diede ancora il suo contributo al cinema d’autore, francese e internazionale. Lavorò con Jean Renoir nel 1971 (Il piccolo teatrino di Jean Renoir), con Losey (Mr. Klein) ed Elia Kazan (Gli ultimi fuochi), entrambi nel 1976.

Proprio quando ormai era tornata a dedicarsi al teatro, è stata riscoperta da una nuova generazione di registi che le hanno dedicato degli omaggi, ritagliandole piccoli ma significativi ruoli: così, in Querelle (1982) di Rainer Werner Fassbinder è la tenutaria del bordello, in Nikita (1990) di Luc Besson è la maestra di seduzione femminile per la sgraziata spia in addestramento, ne Il passo sospeso della cicogna (1991) di Theo Angelopoulos è la presunta vedova di un uomo politico scomparso, mentre in Fino alla fine del mondo (1991) di Wim Wenders è la donna cieca per la quale viene inventata la macchina che permette di visualizzare i ricordi.

Fin dagli anni Settanta si è dedicata anche alla regia: nel 1976 ha diretto e interpretato Scene di un’amicizia tra donne, sulla vicenda di tre attrici; nel 1978 ha diretto Simone Signoret ne L’adolescente e nel 1983 ha realizzato il documentario Lilian Gish, sulla vita dell’attrice. Nel 2000, a 72 anni, ha esordito come regista di teatro. Oltre che attrice e regista, Jeanne è stata anche una straordinaria interprete musicale, cantando con la sua particolarissima voce sensuale e roca canzoni indimenticabili. In Francia è l’unica attrice ad aver presieduto per due volte la giuria del Festival di Cannes, nel 1975 e nel 1995. Dal 1986 al 1988 è stata presidente dell’Académie des Césars, mentre dal 2003 è stata presidente di giuria del festival Premiers Plans dedicato ai giovani registi. Nel 2005 aveva inoltre creato la scuola di cinema Les Ateliers d’Angers.

Dopo un primo matrimonio “riparatore” con il regista Jean-Louis Richard, durato appena due anni dopo la nascita del figlio Jérôme, ebbe una lunga relazione con il regista Tony Richardson nella seconda metà degli anni ’60. Si risposò solo nel 1977 con il regista William Friedkin, ma divorziò nel ’79. Tra i suoi tanti amori, ha fatto scalpore la storia con Pierre Cardin: lo stilista aveva già fatto coming out quando incontrò Jeanne, ma nonostante fosse gay, perse letteralmente la testa per quella donna bella, sensibile, intelligente e a lui così affine, come lui stesso dichiarò.
Jeanne Moreau si è spenta nel sonno a 89 anni, il 31 luglio 2017, nella sua casa di Parigi.
Con lei se ne è andata un’attrice di immenso talento e una donna che ha saputo vivere la sua vita in totale libertà.

«Io so che morirò giovane. Forse a 70 anni, forse 80 o magari 90, ma sarò molto giovane»
FONTI: Enciclopedia del cinema, Treccani – fatamorganaweb.it – repubblica.it





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