Poiché era stato confuso da quel mortaio celeste per quasi dieci anni, gli ci volle un po’ – lui, che si credeva sveglio – per interpretare la lettera. Lo chiamava da lontano più due da dove si trovava. Era così che funzionavano le cose lì.
Fece scorta (sorpreso di avere ancora tutto) del minimo indispensabile nel suo veicolo utilitario: un panino, una mappa – che non gli sarebbe servita a nulla – una fiaschetta di whisky (a cui era tornato di nuovo) e un sigaro spento che teneva sempre a portata di mano, per disintossicarsi dal tabacco, anche lì. Percorse qualche versta (gli piaceva chiamare chilometri così), ascoltando solo il rumore del motore. Poi approfittò di una pendenza e della folle del veicolo, e mentre scendeva, ebbe una visione chiara del punto di riferimento: la collina e, sopra di essa, il castello. E all’interno, la biblioteca.
Più di mille metri quadrati di atrio, con un corridoio lungo quasi un chilometro che conduceva alle porte. Era meraviglioso osservare le fiamme delle torce guizzare, allineandosi costantemente lungo il sentiero arrugginito. Fu sorpreso dagli stipiti di alabastro, con i motivi dei suoi romanzi: l’enorme sfera del famoso pendolo, gli archivi del Cimitero di Praga, i tonachi francescani logori… Divertito, quasi assorto nella sua trama, non si accorse della sua assoluta solitudine. Nessun altro in quello spazio, sebbene dal suo arrivo avesse incontrato conoscenti (editori, altri romanzieri, persino amici) che lo rimproveravano per il suo ateismo:
—Anch’io pensavo di essere ateo, se fossi in te, caro Umberto…
Prese molto male questa contraddizione, ma ora la solitudine immacolata sembrava condurlo in un paradiso diverso, dove il sarcasmo non andava mai oltre l’ironia. La porta tremò davanti a lui, con un debole rumore come di pagine che si voltano, sottili fogli di carta della Bibbia.
Lo stavano aspettando. Il primo a stringergli la mano fu Jorge Luis Borges. Poi vennero Calvino, Conan Doyle… persino Guglielmo di Ockham. La galleria sembrava infinita, piena di mani, di dolci elogi, di libri i cui dorsi mostravano i bordi sopra la testa.
Era la mezzanotte del 19 febbraio 2026, erano passati dieci anni dall’evento terreno della sua morte, e sì, ora, persino in Paradiso, poteva ricevere un omaggio.
Umberto Eco (1932-2016) è il favolista i cui romanzi danno vita all’intelligenza e alla cultura europea. I suoi mondi sono un pretesto per portare davanti ai nostri occhi le eterne discussioni filosofiche della vecchia o della nuova Europa, che assumano la forma di un giallo (Il nome della rosa), di uno esoterico (Il pendolo di Foucault) o di uno politico (Il cimitero di Praga). Il suo stile discorsivo, quasi filosofico, non ci impedisce di godere di tutto ciò che racconta, catturando ambienti (il Medioevo, l’Ottocento) di cui siamo sempre protagonisti, non semplici spettatori. Sì, è vero: ha impedito qualsiasi tipo di omaggio prima che fosse trascorso un decennio. Persino in Paradiso.





Lascia un commento