Di Yuleisy Cruz Lezcano

Negli ultimi anni, un fenomeno sociale ha preso piede in modo sempre più visibile, alimentato da un clima culturale fatto di ipersensibilità e attenzione estrema al politically correct. Si tratta di quella categoria di persone che in ogni parola, gesto o comportamento vedono un “-ismo” o uno “shaming”, pronti a indignarsi, ad accusare e a invocare censura. Questi individui, spesso definiti come permalosi e privi di autoironia, sembrano vivere con un solo scopo: trovare il modo di sentirsi offesi e difendersi a ogni costo, quasi fossero bambini incapaci di affrontare il mondo senza il sostegno continuo di una voce che li rassicuri e li applauda. In un’epoca che celebra la libertà d’espressione e il confronto, questa attitudine rischia invece di soffocare il dialogo e rendere la convivenza sociale un campo minato di inutili fraintendimenti.

Il problema più grande di questa mentalità è forse la sua incapacità di accettare la complessità e l’imperfezione dell’essere umano. Lo slogan “va bene così come sei” è diventato un mantra quasi ossessivo, ripetuto come una formula magica che dovrebbe risolvere ogni insicurezza e ogni problema di autostima. Ma la realtà è più sfumata e meno consolante. Raramente una persona va “bene” così com’è, almeno non nel senso di aver raggiunto la piena consapevolezza di sé e l’equilibrio interiore. La crescita personale passa inevitabilmente attraverso la critica costruttiva, l’autocritica e la capacità di mettersi in discussione. Ignorare o rifiutare questi passaggi significa arrestare lo sviluppo di sé, chiudersi in una bolla autoreferenziale dove non si impara nulla di nuovo e ci si annoia rapidamente, come un palo della luce che illumina solo se stesso senza mai aprirsi al mondo intorno.

Un aspetto fondamentale che viene troppo spesso dimenticato è il ruolo dell’ironia e della risata nel processo di conoscenza di sé e degli altri. Ridere dei propri difetti, sapersi prendere in giro e scherzare su ciò che ci rende imperfetti è un modo di entrare in relazione con il prossimo senza filtri e senza paure. È attraverso la leggerezza che si supera l’orgoglio e si crea uno spazio di autenticità. La risata è uno strumento di liberazione, che permette di vedere la realtà da un’angolazione diversa e di accogliere con più serenità le critiche, i giudizi e anche le opinioni che non ci piacciono. Chi ha paura del confronto e del giudizio altrui dimostra spesso di essere fragile interiormente, di non aver mai imparato a gestire l’incontro con l’altro in modo adulto e maturo. Questo stato di insicurezza, che può nascere da mancanza di esperienza o da ambienti troppo protettivi, conduce a un bisogno esagerato di essere costantemente rassicurati, a pretendere applausi e standing ovation anche per i più piccoli passi o per le azioni più discutibili.

Questa nuova sensibilità esasperata al punto da diventare ipersensibilità è strettamente legata anche al fenomeno dello “shaming”. Il termine indica quella pratica di far sentire qualcuno inadeguato, vergognoso o sbagliato, a volte anche per scherzo, ma in modo che non sia più possibile reagire senza essere accusati di insensibilità o cattiveria. Lo “shaming” nasce spesso dal desiderio di mantenere un’immagine perfetta, di non tollerare alcuna imperfezione o deviazione dalla norma socialmente accettata. Ecco allora che la critica, anche se leggera o giocosa, diventa una minaccia, e chi la esprime viene visto come un nemico da isolare o da mettere a tacere. Così si costruisce una società in cui l’apparenza è tutto e la realtà, con le sue imperfezioni e contraddizioni, viene nascosta sotto un velo di ipocrisia e finzione. Ammirare i vestiti nuovi dell’imperatore, sapendo che è nudo, diventa sinonimo di buona educazione e rispetto.

Questo clima culturale rischia di trasformare la vita sociale in un teatro di paure, offese e accuse continue, dove chiunque può sentirsi vittima e aggredito, e dove diventa quasi impossibile esprimere opinioni divergenti o semplicemente scherzare senza temere di offendere qualcuno. Il risultato è una progressiva perdita della capacità di dialogo, di ascolto e di confronto, che sono le fondamenta di ogni democrazia e di ogni comunità sana. Invece di costruire ponti, si alzano muri di incomprensione e di rancore, e il rischio è che la società si frammenti in microcosmi chiusi, dove prevalgono il sospetto e la difesa estrema del proprio piccolo territorio.

In questo scenario, diventa essenziale scegliere con cura le persone con cui confrontarsi e vivere. È importante circondarsi di chi sa prendersi gioco di noi senza cattiveria, di chi ci mostra i nostri difetti con amore e ironia, senza mai imporci una maschera di perfezione da indossare per paura di essere respinti. Gli amici veri sono quelli che riescono a “vederci” davvero, fino in fondo, e che ci offrono la possibilità di migliorare o di accettarci senza dover chiedere per forza applausi o lodi. In loro si trova il coraggio di guardare in faccia la realtà, con tutti i suoi pregi e difetti, e la forza di andare avanti senza temere il giudizio.

Alla fine, la capacità di ridere di sé stessi e degli altri, di saper accettare le critiche senza offenderci e di imparare a scherzare sui limiti umani, è ciò che ci rende veramente umani. È un patrimonio prezioso che va difeso e coltivato, in un’epoca in cui l’ossessione per la perfezione e la paura del giudizio rischiano di soffocare ogni forma di spontaneità e di libertà. In definitiva, l’obiettivo non può essere quello di costruire una società dove nessuno si sente mai in difficoltà o criticato, perché questo significherebbe rinunciare alla crescita personale e collettiva. Piuttosto, si dovrebbe promuovere un ambiente in cui le persone possano confrontarsi liberamente, con rispetto ma senza timore, dove l’ironia e la leggerezza non siano considerate offese ma strumenti di relazione e comprensione. Solo così sarà possibile superare la rigidità di un’epoca che, paradossalmente, rischia di soffocare proprio ciò che rende l’essere umano unico: la sua imperfezione, la sua vulnerabilità e la sua capacità di sorridere anche davanti alle difficoltà.

Solo recuperando questa dimensione di umanità condivisa si potrà immaginare un futuro dove il dialogo non sia una guerra di nervi, ma una danza armoniosa tra individualità diverse, che si rispettano, si sfidano e si arricchiscono a vicenda. E forse, solo così, si riuscirà davvero a vivere senza il peso soffocante di dover piacere a tutti i costi, liberandosi dalla tirannia del “-ismo” e dello “shaming” che oggi sembrano dominare il nostro tempo.

Lascia un commento

arcipelago di cultura

Scopri di più da MasticadoresItalia

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere