Intervista pubblicata in Satisfiction
Al tuo funerale ero così raffreddata che non riuscivo a cantare, la cappella era piena, tutti i posti a sedere vennero subito occupati, la gente stava appoggiata alle pareti, dal matroneo cantava il coro in cui hai fatto il tenore per quarant’anni.
Quando tornammo a casa dalla clinica, la mamma andò subito a prendere i documenti in soffitta, tra questi c’era anche un foglietto in A5 su cui avevi annotato quali erano i brani che dovevano essere cantati al tuo funerale. A me il foglietto non serviva, sapevo già cosa volevi: il corale finale del mottetto di Bach Jesu, meine Freude che cominciava con il verso “Weicht Ihr Trauergeister” e finiva con la parola “Freude”, un accordo maggiore alla fine di un corale in minore in cui il tenore contribuiva con il decisivo intervallo di terza maggiore. Era adatto a te, tu che volevi abolire la tristezza anche nei funerali. Come secondo brano doveva essere cantato Wer nur den lieben Gott lässt walten.
Non eri legato a nessun’altro brano come a questi, immagini dalle profondità della tua infanzia, ti vedevo seduto sulla panca a cantare con trasporto le lodi della fede in Dio e della placidità, sentivo la sicurezza e il conforto che c’erano dentro per cui nulla poteva davvero andare storto. L’esortazione a non prendere niente troppo sul serio nella vita, né la perdita e il dolore, né la fuga e la morte. A cosa ci servono le grandi preoccupazioni. La tua serenità di fondo. La disponibilità adabbandonarsi al destino, senza aspettarsi né pretendere troppo, il dono di essere soddisfatto. L’altra faccia della medaglia era: è meglio non combattere e a volte rimanere anche al di sotto delle proprie possibilità.
Forse è stato un mio pensiero magico infantile a farmi credere che tra walten e Walter ci fosse una particolare connessione che ti legava così strettamente a questo brano.
Il brano, infatti, non era sul foglietto. Probabilmente avevi immaginato il tuo funerale in maniera diversa rispetto a me.
Prima della fuga da Rosenthal non eravate una famiglia particolarmente credente. Nelle annotazioni di tuo fratello Manfred – una settantina di pagine – la religione non è praticamente presente, a Natale si andava in chiesa e il giorno dei morti si mettevano corone di fiori sulle tombe dei parenti. Per la cresima di Manfred venne macellato un maiale, il nuovo parroco dopo la predica invocò la benedizione di Dio per il Führer, il popolo e la patria, il suo predecessore si era arruolato nelle SS.
La vostra religione era un’abitudine, una credenza contadina, Dio c’era, per il resto non aveva nessun ruolo degno di nota. Tuo padre, a cui piaceva cantare, aveva un grande repertorio che comprendeva canzoni popolari, marce che raccontavano fatti di sangue e canzonacce moderne fino a opere e operette. Di brani di chiesa non ne son stati tramandati.

Sei diventato davvero credente solo dopo la fuga nella Gioventù evangelica con le loro gite e le loro serate di musica, il lavoro sulla Bibbia e le discussioni. La Gioventù evangelica era parte del tuo grande successo con la gente, una parte importante. Credere per te significava comunità e impegno, la cerchia di amici con cui discutevi concretamente e in senso politico di questioni di etica cristiana, le tante cariche onorifiche, lo studio della Bibbia, le preghiere prima dei pasti, la messa domenicale. Eri stato eletto nel consiglio ecclesiastico, dopo le messe contavamo le offerte nell’ufficio della chiesa, arrotolavamo le monete in fogli prestampati e le infilavamo nella cassetta di ferro di cui tu avevi la chiave. Conoscevi la comunità e sapevi chi aveva messo le banconote più grosse nel sacco della questua. A volte facevi loro anche una visita di persona, per ringraziare a nome della comunità. Successivamente hai cominciato a cantare nel coro della chiesa. La chiesa era patria, era parte di quella rete di sicurezza che hai cominciato a costruire da quando siete arrivati a Wedel.





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