Qualche giorno fa mi è capitato di parlare con amici della letteratura latinoamericana che tanto ci aveva affascinato negli anni universitari. Si trattò di veri amori letterari che ci colpirono in maniera così potente per la loro portata letteraria, ovviamente, ma soprattutto per il fatto di essere così diversi, immaginifici, elettrizzanti rispetto a tutto quanto avevamo letto fino a quel momento.
Il nostro gradimento era concorde – allora come oggi – su quasi tutti gli autori; quello su cui abbiamo discusso di più, per conciliare opinioni diverse, è Carlos Fuentes.

Del resto, Carlos Fuentes è stato ampiamente celebrato dalla critica per la sua capacità di esplorare e rappresentare la complessità della cultura latinoamericana, ma la sua opera ha suscitato anche alcune polemiche e critiche, come capita per molti autori che si spingono oltre i limiti tradizionali della narrativa. È stato lodato per il suo approccio storico e politico, in particolare per la capacità di tessere le vicende e i destini dei suoi personaggi con le transizioni sociali e politiche del Messico e dell’America Latina. “La morte di Artemio Cruz” è considerato uno dei romanzi più riusciti in questo senso, in cui la riflessione sul potere e la corruzione politica emergono come temi universali.
Da un punto di vista stilistico, è stato visto come un innovatore della forma narrativa, soprattutto per il suo uso di monologhi interiori, flussi di coscienza, e strutture non lineari, La sua cifra stilistica è riconoscibile anche per il linguaggio colto e un po’ barocco, spesso intriso di simbolismi. Sebbene non sia un autore di realismo magico come Márquez, Fuentes ha saputo fondere in modo convincente il reale con il soprannaturale, come ad esempio in “Aura”, dove l’ambiente gotico e il mistero si intrecciano con le riflessioni sul destino e l’identità. La sua scrittura, pur raffinata e ricca, non è sempre accessibile a tutti i lettori, e il suo stile complesso è stato sia ammirato che criticato per la sua difficoltà.
Provo a tracciare un profilo sintetico di questo prolifico autore.
Carlos Fuentes (1928–2012) è stato uno degli scrittori più importanti della letteratura latinoamericana del XX secolo, nonché una figura centrale del cosiddetto “Boom latinoamericano”, un movimento letterario che, tra gli anni ’60 e ’70, portò alla ribalta mondiale gli autori dell’America Latina.
Nato a Panama da genitori messicani (suo padre era diplomatico), Fuentes visse in vari paesi, tra cui Cile, Argentina e Stati Uniti, e questa formazione cosmopolita si riflette fortemente nella sua opera, sia per la varietà di riferimenti culturali sia per la sua riflessione sul concetto di identità latinoamericana. Fu anche un attivo intellettuale e diplomatico: ha insegnato in varie università internazionali ed è stato ambasciatore del Messico in Francia.
Carlos Fuentes è uno degli autori latinoamericani più conosciuti, accanto a Gabriel García Márquez (Colombia), Mario Vargas Llosa (Perù), Julio Cortázar (Argentina), José Donoso (Cile). È stato accostato anche a Jorge Luis Borges (Argentina). Entrambi gli autori sono ossessionati dal passato e dalla memoria. Borges è noto per il suo approccio più metafisico e astratto alla storia, usando simbolismi e allegorie per riflettere sul tempo, la memoria e la condizione umana. Fuentes, sebbene meno ossessionato dalla dimensione astratta, esplora anch’egli il passato attraverso riflessioni storiche e personaggi emblematici, specialmente nella sua esplorazione della storia messicana.
Pur non essendo un autore di realismo magico nel senso stretto (come Márquez), Fuentes condivide con questi scrittori l’ambizione di reinventare la narrativa latinoamericana, ibridando modernismo europeo, sperimentalismo formale e tematiche storiche e sociali del continente.

Le sue opere più importanti
Carlos Fuentes è stato un autore prolifico, versatile, internazionale, con una produzione che va ben oltre i suoi romanzi più noti. La sua opera si muove tra letteratura d’idee, romanzo storico, satira politica, racconto fantastico e riflessione culturale. La sua produzione è ricchissima e spazia tra romanzi, racconti, saggi, opere teatrali e persino sceneggiature.
L’ombelico della luna (1958)
Romanzo ambientato in una cittadina messicana; racconta le vicende di un gruppo di personaggi che si intrecciano con la storia del paese. La trama si sviluppa attorno a un misterioso triangolo amoroso, simbolo di tensioni sociali e culturali, ma anche della ricerca di identità in un Messico diviso tra tradizione e modernità.
La morte di Artemio Cruz (1962)
Romanzo fondamentale che racconta la storia del Messico post-rivoluzionario attraverso il monologo interiore di un vecchio morente, Artemio Cruz. È una riflessione sulla memoria, sul potere e sul fallimento degli ideali rivoluzionari.
Terra nostra (1975)
Un’opera monumentale, barocca e ambiziosa, che attraversa la storia della Spagna e dell’America Latina. Difficile ma ricchissima, è spesso paragonata a “Cento anni di solitudine” per la sua vastità.
Aura (1962)
Un racconto breve, gotico e misterioso, scritto interamente in seconda persona. Un gioiello di stile che mescola erotismo, magia e identità.
Tutti i soli del Messico (1990)
Un saggio narrativo che intreccia storia, mito e cultura per raccontare la formazione e le contraddizioni del Messico. L’opera attraversa epoche e simboli, mostrando come il paese viva sotto il segno di molteplici “soli”, ossia identità e cicli storici che si sovrappongono.
Cristoforo non ci mise piede (1992)
Un saggio storico e culturale sulla civiltà ispanoamericana, che conferma la sua statura di intellettuale panamericano.
Su tutti, il mio preferito. Gli anni con Laura Díaz (1999) è uno dei romanzi più intensi e accessibili di Carlos Fuentes, in cui l’autore ripercorre quasi un secolo di storia messicana – dal 1905 agli anni ’70 – attraverso la vita della protagonista, Laura Díaz, figura femminile forte e complessa.
Attraverso le sue esperienze familiari, amorose, politiche e artistiche, Fuentes intreccia la storia personale con quella collettiva, raccontando eventi fondamentali come la Rivoluzione messicana, l’ascesa del regime post-rivoluzionario, le guerre mondiali, il muralismo e i movimenti sociali del ’68. Il romanzo è anche un omaggio alle donne invisibili della storia, che attraversano la modernità lasciando segni profondi ma spesso ignorati.
Con una narrazione più lineare rispetto ad altre sue opere, ma non meno ricca di riflessioni, Laura Díaz rappresenta una porta d’ingresso perfetta al mondo di Fuentes per chi cerca un equilibrio tra epica storica, introspezione e denuncia sociale.

Tra i suoi saggi spicca Geografía del romanzo (Geografía de la novela, 1993), un testo che esplora il concetto di romanzo attraverso la lente della geografia, ma non in senso fisico, bensì culturale e letterario. In questo testo, Fuentes riflette sulla natura universale del romanzo, tracciando una mappa immaginaria che collega le principali tradizioni letterarie del mondo, da Cervantes a Borges, passando per Balzac e Kafka.
Il saggio si configura come una rilettura critica e una meditazione filosofica sul ruolo del romanzo nel contesto della storia, della società e della politica, e su come le diverse tradizioni narrative siano interconnesse, pur mantenendo identità e peculiarità regionali. Fuentes esplora anche le frontiere tra romanzo, storia e memoria, proponendo un’idea del romanzo come uno spazio di incontro globale di culture e visioni.
L’opera si distingue per la sua profondità intellettuale, unendo riflessioni teoriche sulla narrativa a una sorta di atlas immaginario della letteratura mondiale. È un testo denso, ideale per chi vuole comprendere la filosofia e la visione di Fuentes riguardo alla natura dell’arte narrativa.






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