1925 – 1989
Con i suoi lineamenti affilati e lo sguardo penetrante, si fece notare come uno dei più importanti caratteristi di ruoli negativi, soprattutto fuorilegge e assassini, in western e action movies. Alto, aspetto da vero duro, viso scavato e sguardo da villain, venne utilizzato, specialmente ad inizio carriera, anche in ruoli di assassino sadico o pazzoide. Caratterizzato da una recitazione essenziale e molto controllata, grazie a Sergio Leone ebbe l’occasione di dimostrare buone capacità anche in ruoli da protagonista, fino a diventare in Italia e in Europa uno dei più richiesti attori di film western, nel ruolo del pistolero di poche parole, spesso difensore dei più deboli, o del poliziotto duro, ma non privo di umanità.

Il suo vero nome era Clarence Leroy Van Cleef, nato a Somerville (New Jersey) il 9 gennaio 1925, figlio di genitori di origine olandese. All’età di 17 anni, dopo aver preso il diploma, decise di arruolarsi nella Marina degli Stati Uniti già nel settembre del 1942. Dopo la sua formazione di base e il perfezionamento presso la Scuola Navale, si unì alla flotta su un cacciatorpediniere, servendo gli USA durante la Seconda Guerra Mondiale. Il suo coraggio fu talmente notevole in alcune missioni che, al momento delle sue dimissioni dal servizio attivo, nel marzo del 1946, venne premiato con diverse medaglie. Dopo brevi esperienze teatrali, entrò nel mondo del cinema nei primi anni ‘50, lavorando come caratterista in numerosi film. Il suo esordio cinematografico avvenne con il celebre Mezzogiorno di fuoco (1952) di Fred Zinnemann, dove interpreta uno dei fuorilegge che attendono lo sceriffo alla piccola stazione ferroviaria.

Prestò quindi il suo volto da villain ad analoghi personaggi secondari in molti altri film: tra i numerosi western in cui compare vanno segnalati almeno Sfida all’O.K. Corral (1957), di J. Sturges, Bravados (1958) di H. King e soprattutto L’uomo che uccise Liberty Valance (1962) di J. Ford. Confinato per oltre un decennio in ruoli minori, avrebbe continuato la sua carriera di caratterista senza possibilità di imporsi, se non fosse stato chiamato da Leone per impersonare il colonnello Mortimer in Per qualche dollaro in più (1965). Nel 1958, Lee era stato quasi ucciso in un incidente automobilistico e l’infortunio al ginocchio che ne fu la conseguenza gli causò molte sofferenze, portandolo ad essere preda dell’alcolismo. Disperato di non riuscire a lavorare, iniziò a dipingere, aprì un’attività di decorazione d’interni e quando un tizio dal nome strampalato gli chiese di incontrarsi in un hotel, si presentò pensando di dover fare un preventivo per un lavoro di pittura.

Invece quel tizio era Sergio Leone ed era venuto appositamente dall’Italia perché lo aveva notato in alcuni telefilm e voleva il suo sguardo. Ma non voleva che interpretasse il cattivo. Almeno non all’inizio. Così, eccolo in Per qualche dollaro in più, dove interpreta il colonnello Mortimer, un uomo assetato di vendetta che fa squadra con l’uomo senza nome di Clint Eastwood per affrontare la banda dell’Indio, grandiosamente caratterizzato da Gian Maria Volonté. Il suo personaggio era molto più articolato e complesso dei ruoli interpretati fino ad allora, con una dolorosa storia privata e uno scopo da raggiungere. Una performance superba e finalmente non marginale, che lo condusse ad un altro capolavoro: Il buono, il brutto, il cattivo, l’apice del genere. Il suo personaggio, Sentenza, era un villain, ma con una sua profondità e una buona dose di spirito, anche se risultava in secondo piano rispetto ai personaggi di Clint Eastwood ed Eli Wallach.

Da quel momento in poi, Lee sfruttò la nuova visibilità con una serie di film in cui era il primo nome sul manifesto, l’eroe vestito di nero. Nel periodo, rimane in Italia ed è diretto da registi come Valeri, Sollima, Margheriti; colleziona una decina di presenze per altrettanti western all’italiana, dove si esprime anche da protagonista ottenendo buoni consensi per prodotti non eccelsi, ma di sicuro impatto sul pubblico di allora, non soltanto italiano. Ma quando il filone volge fisiologicamente al termine, anche la sua carriera comincia a declinare. Tornato negli Stati Uniti dopo la gloria italiana, ottenne alcuni buoni ruoli, tra cui Barquero (1970), e il personaggio principale ne I magnifici sette cavalcano ancora (1972), ma fu ancora in Europa che continuò a trovare lavoro, tanto che girò tre film con Antonio Margheriti a metà anni ‘70.

Qualche anno dopo, John Carpenter gli regalò il ruolo dell’alto commissario di polizia Bob Hauk in 1997 – Fuga da New York (1981), altro momento altissimo della sua carriera. Continuò a lavorare fino alla morte, recitando in un telefilm chiamato Master, in cui interpretava un maestro di arti marziali, e tornando in Italia per Il triangolo della paura a fianco di Donald Pleasence, di nuovo diretto da Margheriti.
Tre le mogli di Van Cleef. La prima fu Patsy Ruth Kahle, rimastagli accanto dal 1943 al 1960. Fu la sola moglie ad avergli dato dei figli: Alan, Deborah e David. La seconda fu Joan Marjorie Drane, dal 1960 al 1974, e insieme adottarono una figlia, Denise. L’ultima moglie fu Barbara Havelone, che gli rimase accanto fino alla fine.
Quando morì, per un attacco di cuore, il 16 dicembre 1989, aveva solo 64 anni. Sulla sua lapide è scritta la frase che riassume la sua vita: “Best Of The Bad”. Il migliore dei cattivi.

«Molti attori pensano che più battute hanno e più si faranno notare. Non è così. Io ho sempre detto poche parole nei miei film, eppure il pubblico non mi ha dimenticato»
FONTI: Enciclopedia del cinema, Treccani – hotcorn.com – mymovies





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