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Quando si parla di ricerca di senso è facile immaginare pagine e pagine di riviste, tomi rivelatori o pragmatici mentori pronti a vendere la ricetta di turno.
Il discorso si complessifica quando per aprirsi alla comprensione del senso, bisogna implicitamente accettare che il senso, in quanto tale, senso non lo ha.
Aprendoci ad un’ottica senza senso chi o cosa diviene un figlio, chi o cosa diviene un genitore?
Un figlio è figlio del desiderio, dell’ammissione (soprattutto accettazione) della propria fallibilità: “tu non sei un mio prolungamento/tu sei tu”. La genitorialità si inscrive in quel bacino fatto di riferimenti identificatori, nell’inscrizione del nuovo nato in quella tradizione culturale e sociale “pre/scritta” non data -tuttavia- come calco certo e netto (di tutte le certezze raggiunte, da buoni genitori, la quasi totalità vacillerà con la preadolescenza).
Le tradizioni esistono, infatti, per essere messe in dubbio; di una legge dovrò farne verifica, dovrò sottoporla a prove e scossoni; dovrò capire se la comprendo, accettarla e approvarla oppure decidere di scardinarla dal mio sistema valoriale per legarmi ad altra narrazione.
Il compito che l’adolescenza porta è -infatti- trovare, rinsaldare e terminare con l’identità stabile e definita ma contemporaneamente è verificare tutta la legge familiare: “la accetto o la rifiuto?”
Un figlio è allora figlio di quel che sarà il suo desiderio sciogliendosi, ad un tratto, da quello che fu il desiderio genitoriale, impronta della sua venuta al mondo.
Sarà lui o lei a dirci chi o cosa vuole essere, chi o cosa vuole fare in chi o cosa credere (ecco perché in molte famiglie genitori e figli appaiono noi quanto mai lontani e diversi).
Noi genitori possiamo e dobbiamo offrire un bacino di contenimento, una rete protettiva come quella dei circensi che non evita la caduta ma la attutisce leggermente. Certo la rete può talvolta essere bucata, lacerata o non troppo resistente; a discrezione può essere ritirata.. La genitorialità diviene quel sottile velo, piega d’accompagno sottile e discreta, presente nella sua stessa assenza e assente nella sua stessa presenza.
Durante le consulenze vedo spesso i figli prigionieri del desiderio genitoriale, tenuti stretti tra le maglie di catene nemmeno troppo invisibili.
“Mio figlio DEVE viaggiare! non è necessario che studi ma da grande deve vedere il mondo! / Mia figlia DEVE avere tutto il meglio! DEVE frequentare solo scuole buone, DEVE fare .. DEVE.. DEVE/ Io faccio i sacrifici quindi lui DEVE/ Io mi sono annullata per lei quindi lei DEVE”
Il dovere diviene la merce di scambio, quel dazio necessario per riscattare la propria illusoria libertà.
E’ nel dovere che si consuma e si disperde il piacere: l’originario desiderio di esistere senza insistere.
Dott.ssa Giuseppina Simona Di Maio,
Psicologa Clinica, Albo degli Psicologi della Campania n.9767
Esperta in Disagio giovanile, devianza sociale e comportamenti a rischio,
Esperta in malessere adolescenziale e adolescenza
Psicologa scolastica,
Svolge attività di prevenzione, diagnosi e cura per la persona, i gruppi, gli organismi sociali e la comunità





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