È stato appena assegnato il premio Nobel per la letteratura e l’ha vinto lo scrittore ungherese László Krasznahorkai. Già mi immagino le battute sull’impronunciabilità del suo cognome: che diamine, signori, premiate qualcuno il cui nome si possa dire a voce alta! Per molti sarà uno sconosciuto, non per me, che ho letto ben tre libri di questo autore straordinario e che sono immensamente felice del riconoscimento che gli è stato dato. Non ho molto tempo questo pomeriggio per scrivere un articolo su di lui, perciò mi limito a copincollare alcune cose che avevo scritto via via che leggevo le sue opere. Sono pensieri, impressioni, stralci che ho pubblicato su questo blog negli anni passati ma che voglio riproporre oggi. Siccome sono consapevole che “del maiale non si butta via nulla”, conservo la minuta di tutto ciò che scrivo: questo primo frammento, che descrive il mio primo incontro col grande scrittore, penso risalga al 2014.

«In una delle mie ultime incursioni in biblioteca mi è capitato di pescare un libro di cui non avevo mai sentito parlare: Melancolia della resistenza. Il suo autore, di cui ugualmente non avevo mai sentito parlare, sicuramente per mio difetto, è ungherese e ha un nome particolarmente difficile da scrivere e, penso, da leggere: si chiama László Krasznahorkai. Di che cosa parla Melancolia della resistenza? Non è facile dirlo.  Siamo in una imprecisata città dell’Ungheria, in un’epoca imprecisata, salvo il fatto che il libro è del 1989. Una signora affronta un viaggio in treno stretta e pigiata tra una folla che le sembra ostile; uno strano circo arriva in città per esibire un’immensa balena imbalsamata; un intellettuale depresso passa le sue giornate a letto mentre un giovane stralunato si prende cura di lui; personaggi loschi, venuti da chissà dove, provocano una rivolta e una donna ambiziosa e cinica riesce a impadronirsi del potere grazie al suo Movimento per la Pulizia e l’Ordine. Il tutto raccontato con un linguaggio estremamente suggestivo.»

Questo secondo stralcio invece è del 2020.

«C’è uno scrittore dal nome impronunciabile, László Krasznahorkai, ungherese, che ora comincia a essere un po’ conosciuto in Italia, ma non quanto merita. Diversi anni fa ho letto Melancolia della resistenza, un romanzo a dir poco sorprendente, ambientato in Ungheria prima del 1989. Mi sembrava di ricordarmi tutto di questo libro straordinario, ma leggendo qualche articolo su internet mi rendo conto che mi sono dimenticata ogni cosa, tranne l’incipit folgorante che descrive un viaggio in un treno stipatissimo, un’immensa balena imbalsamata che viene esposta nella piazza principale di una cittadina ungherese e una donna particolarmente intrigante e avida di potere. Be’, non so voi, ma a me questo basta.

Da pochi giorni ho concluso la lettura di Guerra e guerra, un’opera che colpisce fin dal titolo, e ho ancora la testa piena delle chiacchiere di Korin. Sì, perché Gyorgy Korin, il protagonista, un modesto archivista di un’altra piccolissima città ungherese, non fa altro che parlare con qualsiasi interlocutore gli capiti a tiro: l’unico avventore di un bar scalcinato, il tassista, l’interprete, la donna dell’interprete: non ha importanza, chiunque ci sia, lui parla, inarrestabile, fluviale. Ha mal di testa, ha male al collo, teme che la testa gli si possa staccare dal collo; sente che la sua vita è inutile e vorrebbe farla finita ma un giorno, riordinando certi fascicoli dell’archivio, trova un manoscritto, lo porta a casa e lo legge, e subito se ne innamora pazzamente, perciò decide di compiere un’ultima missione prima di concludere la sua esistenza: vuole trascrivere integralmente il manoscritto al computer e metterlo su internet per diffonderlo in tutto il mondo e renderlo immortale. E per svolgere un compito così importante vuole andare esattamente al centro del mondo, che per lui è la città di New York, vende tutti i suoi averi e parte e… potrei andare avanti a lungo, ma credo che non sia il caso. Posso solo concludere che ormai, alla mia età e con tutte le migliaia di libri che ho letto, difficilmente riesco a trovare qualcosa che mi sorprenda veramente, che mi lasci a bocca aperta: questo romanzo, questo autore, ci riescono.»

Terzo e ultimo frammento, a proposito dei libri letti nel 2021

«Il libro più bello? Ne ho almeno cinque. Uno è Satantango, di  László Krasznahorkai, un autore ungherese davvero straordinario, ed è un bellissimo romanzo: ambientato in uno sperduto villaggio della campagna ungherese, dove tutti si consumano nell’attesa del ritorno di un certo Irimiás, al quale attribuiscono la capacità di redimere le loro vite. Molto bello, visionario, pittoresco, ma non all’altezza  secondo me, di Melancolia della resistenza e di Guerra e guerra

3 risposte a “László Krasznahorkai vince il premio Nobel per la letteratura Articolo di Marisa Salabelle”

  1. […] Re Crivello, uno dei redattori di Masticadores, non solo ha pubblicato il mio articolo su László Krasznahorkai, che avevo postato a caldo qui appena avuta notizia dell’assegnazione del premio Nobel, su […]

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  2. Chi determina la fama e/o il successo di un autore ungherese? Anche se di principio non possiamo escludere gli studiosi professionisti di Letteratura Magiara ( e della pluralità di sentieri che questa già di per sè indica), è improbabile che questi soli abbiano fatto la differenza di diffusione. Dobbiamo invece risalire ad un più generica definizione di romanzo ‘straniero’ – straniero, certo, nella lingua di scambio internazionale, l’inglese in primis – ma ostinatamente straniero anche nei principali mercati linguistici europei… anzi simbolo stesso della difficoltà di comunicazione – e insieme di uno scambio non solo geograficamente centrale, ma vero crocevia di contatti internazionali. Il sospetto si sposta quindi sulla storia – e, perché no – sulla politica di un ganglio dall’alterità radicata: tutti curiosi dell’Oestalgie avranno saccheggiato gli scaffali delle zie d’oltremuro….cosa comunque vera in ambito berlinese. Ma anche questo trascinerebbe nel fiume delle biblioteche provinciali e di famiglia un autore che certo cerca un interlocutore ad un tempo smaliziato lettore, local e slocal, di nicchia nella ricerca di storie insieme quotidiane e simboliche, ma vagabondo tra i sistemi.

    Ho una soluzione mia a questo enigma: il passaporto per l’Ovest è stato fornito da un vecchissimo gemellaggio glottologico e finnico, filtrato dall’accoglienza alla dimensione mondiale Nobel: il luogo ideale, di pensiero, in cui il confronto occidentale viene attuato da sempre…almeno così mi parve, in vacanza culturale sull’Isola Margherita, sentendo . E non vedo il motivo per cui cambiare opinione….a meno che non mi convincano della significatività dei cognomi individuati…un segnale est-ovest? Una strizzata d’occhio planetaria? Un’orca rossa alla quale si cerca di guardare in volto già allora?

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  3. Non so quali criteri ispirino coloro che assegnano il premio Nobel, certo possono esserci anche considerazioni politiche, però una cosa è certa: László Krasznahorkai è un grande scrittore, il suo primo romanzo è uscito nel 1984, in un’Ungheria certamente molto diversa da quella attuale, ha continuato a scrivere per tutta la vita, opere che certo hanno a che vedere con la sua appartenenza culturale e con la storia geopolitica dell’Ungheria, ma direi, come tutti i grandi scrittori, con un respiro universale. Non è un autore facile, è impegnativo, ma sa creare mondi con la sua scrittura, pertanto ritengo il premio un riconoscimento del suo grande talento.

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