Preghiera per il giorno d’Ognissanti
Mai la luce del mondo è stata tanto
bianca come in questo giorno
d’inverno. Le campane
pur ora in questo tenero
acclamare parevano non l’ombra
delle sagrestie ma il suono
stesso della maturità del mondo, il gesto
che romperà il suggello delle messi al giorno
pieno d’estate. I ragazzi
col sangue in questo rombo odo parlare
sulla strada come se una nuova
stagion battesse chiara nei pensieri o il cielo
monumentale come albero mostrasse
i frutti. Vieni a casa
dico piano al mio Dio guardando in petto
me stesso e in questa luce
frequentaci come sale al profondo
cielo degli uomini un volo altissimo
di gru confuse con le nuvole o il rombo puro
del tuono annuncia un movimento
del cielo e della luce che saprà venire in pioggia
sulla terra. Visitaci, come risale dall’Oriente
il sole o ritorna sulla donna
lo sposo, e questi uomini (ch’io,
sono) illumina e nutrisci tu con la luce
ch’è grano, e governa con l’amore
ch’è semenza e caldo soffio dei venti. Ti cerco dove
i popoli si pongono in antiche
e soprattutto nuove posizioni
di giustizia come il vegetale
si accomoda alla luce per mostrare
la propria faccia e alla foresta
far posto. Ti cerco nella pace
dei pastori col loro gregge ma soprattutto in fondo
alle assise degli uomini che fanno
regole per i propri simili. La legge
matura, se vuoi, nel vulcano di sapienza
del tuo azzurro, ove ti vedono segreto
i fanciulli, ma tempera nel muto
equilibrio d’ogni giorno i legami che nascono
agli acuti profili delle ore tra uomo e uomo e insegna
con la fiamma del sole che si spande identica
in tutti i meandri del cielo come l’uomo
è uguale al proprio simile e quei bracieri
che in sé trattengono cupide fiamme mentono
il tuo nome. Non amare i nuovi
traditori della tua prima patria
originaria ch’è il corpo dell’uomo, il tuo Cristo, se dicono
che il suo avvento è dei cieli e in questa magra
meraviglia del mondo non ti ospitano, profondo
come se tu abitassi per Noi e nelle intime
camere della terra nostro amico dei giorni migliori.
E non mi tolgo agli umili
dialoghi della sera quando intorno
alla cena del giorno diventato
pane gli uomini si dicono
le parole più calme se ti parlo
così: «Dio mio fratello e padre
meraviglia dei credenti ma del tutto
domestico come alla grande solitudine
amorosa degli sposi il lor tetto od il mare
ai marinai, dialogo dei labbri
più intimi, parola detta al caldo
dell’orecchio e più lenta di quante mai parole
han detto gli uomini, mio infinito
amico sempre eguale e pur così
nuovo, Dio di fedeltà, d’origine
dolorosa e di memoria, Dio di passione
espressiva e Dio di musica, se i suoni
il Crocifisso indovinano nelle
braccia aperte del suo silenzio, Dio della cenere
e del ritrovamento e dunque Dio del focolare
e del fuoco, Amico degli amori e anche
Primo amante, sorveglia, ravvedi
tempera, correggi
e custodisci, spaventa, rasserena
illumina metti spegni abbandona
governa traduci dimetti
assalisci trasporta tramuta».
[ Brunello Rondi (Tirano, 26 novembre 1924 – Roma, 7 novembre 1989) sceneggiatore, regista, drammaturgo, poeta e musicologo italiano. ]





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