Con “È normale che…” Rino Cillo consegna al lettore un libro sorprendente nella sua apparente semplicità: un’opera “non convenzionale”, come lui stesso la definisce, che sfugge ai generi tradizionali e trova la propria cifra stilistica in una forma di autobiografia pulsante, in cui il tempo non è un binario, ma un tessuto da manipolare con libertà creativa.

Un libro che si legge come si ascolta un narratore seduto accanto al focolare: senza preavviso, senza partiture, ma con quell’intensità, che solo ciò che nasce dal vissuto – e dal cuore – può avere.


La poetica del “ri-cor-dare”: riportare al cuore

Il concetto che attraversa sottilmente tutto il volume è quello, profondamente etimologico e quasi liturgico, del ri-cor-dare: ri-portare al cuore, restituire alla vita interiore ciò che sembrava perduto nei decenni.

Cillo non “ricorda” semplicemente: ri-cor-da.

Ricuce. Riguarda. Riprende frammenti di un’esistenza – episodi familiari, viaggi, storie del passato irpino, aneddoti sportivi, momenti di ilarità e scarti di malinconia – e li rimette in circolo, come se il cuore fosse una pagina sempre riscrivibile.

È in questo gesto che si manifesta la sua originalità: la memoria non è museo, ma movimento; non è nostalgia, ma vita che continua a vibrare.


Una struttura a mosaico: flashback, flashforward, il tempo di Kronos piegato alla voce dell’autore

La strategia narrativa di Cillo è programmaticamente cinematografica: una “frammentazione della continuità cronologica” che gli consente di muoversi liberamente tra l’infanzia e la maturità, tra l’Avellino delle prime radio libere e la città ferita, che rinasce dopo il terremoto del 1980, tra sogni giovanili e viaggi europei raccontati con trasparente ironia.

Il risultato è un mosaico sincero e vibrante, che procede per lampi, sconnessioni, improvvisi ritorni: è la memoria stessa, con i suoi balzi imprevedibili, a dettare il ritmo del libro.

E Kronos – che Cillo dichiara di manipolare a suo piacimento – diventa materia duttile, ora trattenuta con delicatezza, ora scagliata giù “per le discese dello spirito inquieto”.


La lingua dei luoghi comuni e l’arte di ribaltarli

Curioso, e riuscito, il punto di partenza: l’autore prende un’espressione inflazionata del mondo calcistico, quel «È normale che…» diventato intercalare di atleti e allenatori, e la usa come chiave ironica per decostruire il linguaggio dei cliché.

Ma dietro l’ironia si percepisce un moto più profondo: la volontà di distinguere il vissuto reale dalle formule prefabbricate.

Il libro è, in fondo, una lotta contro il luogo comune e una celebrazione della parola personale, autentica, “elementare” – come Cillo ama definirla – ma mai banale.


La scrittura come indagine del sé: Cillo, “detective dell’animo umano”

In questi frammenti – alcuni più lirici, altri più narrativi, altri ancora volutamente romanzati – Cillo svolge il ruolo di un detective dell’animo umano.

Indaga i moti del proprio io, scava nelle emozioni, si confronta con ricordi, che commuovono e altri che lo sorprendono mentre ride da solo davanti alla tastiera.

La sua Irpinia emerge non come semplice sfondo geografico, ma come paesaggio affettivo, spazio dell’identità, luogo simbolico, da cui il racconto prende vita e a cui inevitabilmente ritorna.


Il valore culturale di un libro radicato nella sua terra

Non è un caso che le presentazioni dei libri di Cillo coinvolgano biblioteche, archivi, istituzioni culturali e persino momenti musicali.

La sua scrittura – semplice, sincera, immediata – diventa parte del patrimonio culturale di un territorio che custodisce memoria, dolore, rinascita e orgoglio.

Cillo scrive l’Irpinia, ma parla a tutti: perché ogni lettore, nelle sue pagine, ritrova il proprio desiderio di trattenere il tempo, di farlo andare avanti e indietro come una danza, di riascoltare la propria vita nelle sue note più intime.


Un libro che abbraccia il lettore

“È normale che…” è un’opera che non seduce con artifici letterari, ma con la limpidezza del vissuto.

È un libro che si muove tra profondità e ironia, tra dettaglio e universalità, tra pagina e cuore.

Un libro che non chiede di essere “ammirato”, ma ascoltato.

E soprattutto è un libro che fa ciò che ogni opera sincera dovrebbe fare: ri-cor-da, e invita chi legge a fare lo stesso.

Rino Cillo, con la sua voce quieta e intensa, ci ricorda che scrivere è sempre un atto d’amore verso ciò che siamo stati.

E che, in fondo, niente è più “normale” – e più straordinario – di riportare la vita al cuore.



Rino Cillo, Irpino purosangue per discendenza e per nascita.

Studi classici e laurea in materie giuridiche.

Funzionario di Polizia in quiescenza (mi raccomando non in pensione!) dal 2022.

Appassionato di Storia, archeologia, musica, viaggi.

Da anni aveva in mente il sogno di raccontare antiche vicende, poco conosciute, che riguardano la sua terra.


Rosa Bianco, nata a Napoli nel 1965, è insegnante, critica letteraria e giornalista. Da sempre dedita alla ricerca culturale e al dialogo tra pensiero e umanità, ha condotto studi approfonditi sulla libertà di coscienza, intesa come spazio privilegiato di incontro con l’altro. Relatrice e moderatrice in convegni culturali, letterari, filosofici, storici e politici, caratterizzati da un elevato profilo qualitativo, presenta libri, progetta e realizza eventi, mostre e rassegne, distinguendosi per un approccio insieme rigoroso e appassionato all’esegesi e all’approfondimento. Con il suo lavoro, intreccia riflessione e divulgazione, contribuendo in modo significativo a mantenere viva la dimensione pubblica del pensiero critico.


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