By / di Marisa Salabelle blog

Una sera, ai primi di ottobre, una giovane donna cammina a passo svelto nella strada pressoché deserta: questa sera ha sbirbato, come direbbe sua suocera, si è concessa un’uscita con le amiche. Mentre si affretta, pensando ai bambini che a quest’ora dormiranno e a suo marito che sicuramente starà sonnecchiando davanti alla TV, alza gli occhi verso le case che fiancheggiano il marciapiede, verso le finestre dalle persiane accostate e le serrande abbassate: tra le liste filtra qua e là un po’ di luce e la donna cerca di immaginare ciò che accade in quelle case, dietro quelle finestre, oltre quelle persiane e serrande. In un salotto dai mobili vecchio stile – si riconosce per via del terrazzino che ha davanti – una coppia di anziani guarda la televisione. O magari non è una coppia, è un vecchio con la sua badante. Più in là, quella dev’essere la camera di un adolescente: dai vetri semiaperti proviene musica ad alto volume. La donna se lo immagina scazzatissimo, quell’adolescente, sdraiato su un letto sfatto, incurante dei richiami della madre che gli chiede di abbassare il volume. E quella camera da cui trapela una luce tenue, non sarà mica quella di un malato terminale… Là, una finestrina piccola, dai vetri opachi: è una cucina, dove una donna stanca passa macchinalmente un cencio umido sul piano di lavoro in gres porcellanato. O forse un bagno, dove un uomo grasso siede sul water, leggendo il giornale e sospirando.

Ci sono tante storie, dentro le case, dietro le porte chiuse e le finestre illuminate, e alla donna piacerebbe raccontarle. Di tanto in tanto gliene viene una alla mente: non sono storie, solo germogli di idee che vorrebbe coltivare. C’è un uomo che si innamora di una ragazza che vede passare ogni giorno davanti alla panchina del giardino pubblico dove siede a riposare; un vescovo presiede una conferenza, ma si annoia, e non riesce a scacciare dalla mente l’immagine di una giovane suora; una vecchia, di ritorno dal funerale di suo fratello, pensa a tutte le persone cui è sopravvissuta; una ragazza riceve finte lettere d’amore e le crede vere… Ogni giorno decine di storie come queste le si affacciano alla mente, perché è questa la sua passione segreta, il suo desiderio inconfessabile: vorrebbe fare la scrittrice. Raccontare la vita, così com’è, la gente normale, che vive nelle case e attraversa la strada e siede sulle panchine. Le piacerebbe, molto, moltissimo, e pensa che ne sarebbe capace, che avrebbe delle cose da dire. Ma non ha tempo. Mettiamo che l’idea per un racconto le venga mentre sta legando i lacci delle scarpe al suo bambino più piccolo. Il bambino non sta fermo coi piedi e chiacchiera senza sosta. Lei l’ascolta e non l’ascolta, mentre insegue l’idea che sta per sfuggirle chissà dove.

«Sì, amore, sì, certo. Te lo prometto. E fermo con quei piedi!»

Finalmente le scarpe sono allacciate, la colazione è stata fatta, i baci sono stati dati, l’intera famiglia è uscita, la porta di casa si è chiusa. Dunque, dice tra sé la donna mentre si avvia verso il bagno, quest’uomo fa il guardiano dei giardini pubblici. Tutte le mattine alle otto fa una pausa per mangiare un panino e siede su quella panchina. E vede passare la ragazza… facciamo che lui è un uomo volgare, grossolano, e lei una creatura filiforme… e gli sorride. Sì, la ragazza lo saluta, e lui… Nel mentre che pensa queste cose, la donna non sta certo con le mani in mano: si lava, si veste, tira su i letti, sparecchia il tavolo della colazione. E ora è pronta ad affrontare una normale giornata tra lavoro, corse in lavanderia e al supermercato, figli da riprendere a scuola, da accompagnare a danza, a calcio, a catechismo. L’uomo dei giardini pubblici le compare davanti quando meno se lo aspetta: è l’uomo di fatica del supermercato, che sistema i pacchi d’acqua minerale, è il bidello della scuola elementare, l’addetto alla pulizia dello spogliatoio di calcio. A ognuno di loro ruba un particolare: gli occhi piccoli e ammiccanti, i denti ingialliti dalle sigarette, l’intonazione becera della voce, un’espressione colorita. La cosa da fare sarebbe prendere appunti, e qualche volta la donna lo fa, annota su un suo quadernino una frase colta al volo, una scena che teme di dimenticare, ma il più delle volte, semplicemente, non può. Non ha tempo. Altre cose, più urgenti, le mangiano la giornata.

Soltanto la sera, a letto, mentre sta per addormentarsi, la donna ripensa all’uomo dei giardini  pubblici. Ormai ha chiaro in mente chi sia, che aspetto abbia, dove viva: è un uomo rozzo, scontento della sua vita, della sua casa miserabile, di sua moglie grassa e sfatta. Ed ecco che gli appare questa ragazza. Tutte le mattine, mentre lui si riposa dopo aver passato due ore a rastrellare i vialetti del parco e a vuotare i cestini delle immondizie, questa creatura dell’aria, lieve come una piuma, passa di lì, a un metro da lui, e come per miracolo gli sorride, lo saluta. Perché poi dovrebbe salutarlo? Boh, pensa la donna mentre le si chiudono gli occhi, ci penserò domani. Se fossi veramente posseduta dal demone dell’arte, pensa, ora mi alzerei, mi metterei a tavolino e nel silenzio assoluto, mentre tutti dormono, scriverei. Starei alzata tutta la notte, con gli occhi allucinati. La mia storia la vedrei svolgere davanti a me, e non avrei pace finché non l’avessi scritta. Ma si sente così stanca, e l’idea di alzarsi da quella cuccia calda proprio non l’entusiasma. Scriverà domani: intanto la storia le cresce dentro, lievita, anche se lei non ci pensa, anche se dorme. Ha tutto in mente: si tratta solo di trovare le parole, di formulare le frasi. Domani verrà liscia come l’olio, si scriverà da sé.

Ma l’indomani, mentre lava la faccia al bambino, dell’uomo dei giardini pubblici non si ricorda più. In compenso, vede distintamente davanti a sé due ragazze: una è alta, esile, ha i tratti delicati; l’altra è una biondina grassoccia, un po’ com’era lei vent’anni fa. Sono due studentesse, e devono prepararsi all’esame di maturità…

2 risposte a “La scrittrice”

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