
Il secondo editore aveva una sede che il primo, nemmeno se la sognava. Un’intera ala di un grande palazzo modernissimo, in una zona periferica. Doppia porta a vetri, col logo della casa editrice e l’apertura automatica. Ascensore, sala d’attesa con divano e poltrone, un tavolino basso coperto di opuscoli e brochure. Una segretaria gentilissima che ci fece accomodare, e dopo pochi minuti arrivò l’editore, un uomo di circa quarant’anni, vestito con pantaloni di velluto ed una pullover beige, capelli corti, lineamenti regolari, una gentilezza nervosa, una stretta di mano veloce. Attraversammo un lungo corridoio sul quale si aprivano numerosi uffici con tavoli sovraccarichi di materiale e varie persone impegnate nel lavoro. Entrammo nel suo ufficio: era uno dei titolari della casa editrice, si interessava in particolare di esordienti, il mio libro non l’aveva letto, no, lui i libri non li leggeva, ma l’avevano letto due suoi collaboratori e in base al parere espresso da questi ultimi pensava di pubblicarlo in una collana di gialli.
«Ho qualche dubbio», gli dissi, «perché il libro non è propriamente un giallo.»
Come, rispose, prese una scheda e mi lesse un breve riassunto del romanzo.
«Sì, la trama la so», dissi, «dopotutto il libro l’ho scritto io: certamente c’è un delitto, ci sono delle indagini, e tuttavia non lo definirei un giallo.»
«Be’, allora si decida, signora, è un giallo o non lo è?»
«Ecco, il delitto e le indagini sono un po’ un pretesto… se fossi un lettore di romanzi gialli, e trovassi questo romanzo in una collana di gialli, forse lo troverei un po’ esile… perché non è veramente un giallo…»
«Allora, se lo dice anche lei che è esile!»
“No, io volevo dire… Va bene, ammesso che lo pubblichiamo in una collana di gialli…”
«Vede, lo dice anche lei che come giallo è un po’ debole, ma in fin dei conti, mi domando, se non è un giallo, poi, che cosa è? Non c’è mica un sottotesto, non c’è mica nessun significato simbolico, non c’è mica nient’altro oltre la trama.»
«Come le ho preannunciato per telefono, signora, noi chiediamo un contributo agli autori esordienti.»
«Ecco, sinceramente, io diffido un po’degli editori che chiedono contributi agli autori…»
«No, perché deve diffidare? Perché noi, sa, il suo libro lo trattiamo poi esattamente come quelli che pubblichiamo senza contributi… stessa promozione, stessa considerazione. È solo per un fatto di spese, sa, perché, signora, glielo dico francamente: i libri degli esordienti sono destinati a rimanere invenduti!»
«Ma voi che tipo di promozione fate? Come lo pubblicizzate, questo libro?»
«Ah, la promozione se la deve fare lei! Presentazioni, incontri, deve fare tutto lei, trovare la sala, qualcuno che la presenti, andare in giro a promuovere il suo libro per tutta la regione, anche per tutta l’Italia, se crede: noi al massimo possiamo prometterle di fornire un po’ di copie del libro, se qualcuno lo volesse acquistare durante la presentazione… che anche questo, sa… portare le copie, allestire un banchino, metterci una persona… per poi vendere una copia o due…»
«Ma io, veramente, non posso dedicarmi più di tanto alla promozione… certo, posso fare una presentazione del libro nella mia città… ci avevo già pensato… e in qualche città vicina, magari… posso aprire un blog o un profilo su Facebook, ma non più di così… io lavoro, sa, non ho tutto questo tempo: pensavo che voi faceste di più…»
«Signora, e se ci ripensassimo? Lasciamo perdere, vedo che non è convinta.»
«No, io sono convinta, solo volevo sapere…»
«Lo so che tipo è lei, l’ho capito appena l’ho vista.»
«E che tipo sarei?»
«Lei è una che ha le sue idee in partenza.»
«Certo che ho le mie idee.»
«Perché poi, oltre agli elogi, ci sono state anche delle critiche, sul suo romanzo!»
«E che critiche?»
«Vede? Vede com’è lei? Lei è una che non ammette critiche.»
«Non è vero, anzi, sono curiosa…»
«Vede? Lei è curiosa, come a dire, vediamo un po’ che cosa hanno da dire sul mio libro. Ma scusi, crede che io faccia lavorare un mio collaboratore se non ho la certezza che lei accetta la pubblicazione? Il mio collaboratore il libro l’ha letto, ha detto che c’è qualcosa da cambiare, se lei mi dice che accetta io lo metto al lavoro, altrimenti niente, non posso mica pagare un editor per soddisfare la sua curiosità!»
«E in definitiva, ammettiamo che io accetti, di che entità sarebbe questo contributo?»
«Oh, be’, glielo posso dire, senz’altro. mi faccia fare qualche conto… Vediamo, questo libro qui… pubblicato verrà un centosessanta pagine… hmm… a metterlo in vendita, costerà 12 euro… mettiamo che ne stampi novecento copie… il suo contributo dovrebbe essere sui 3600 euro.»
Mio marito, che è sveglio, fa due calcoli a mente:
«È l’equivalente di trecento copie!»
«Eh, sì, se la mette così… certo, io se fossi nella signora, vorrei vedere il libro sugli scaffali delle librerie, ma se lei vuole io le do trecento copie… anche quattrocento, anche cinquecento copie!»
«E cosa me ne faccio io di cinquecento copie?»
«Be’, può farlo leggere nelle scuole, per esempio: lei fa un incontro con gli studenti di una scuola, lei è un’insegnante, no? Fa un incontro con gli studenti di una scuola, si mette d’accordo col docente di quella scuola, fa comprare il libro ai ragazzi, glielo fa leggere…»
«Non so… non mi sembra corretto!»
«Ci vuole ripensare, signora? Lei ci ripensi, e ci sentiamo fra qualche tempo!»




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