Racconto di Marisa Salabelle
Quando era molto piccolo – aveva all’incirca quattro, cinque anni – Giulio era stato protagonista di un episodio che forse – chi può mai sapere – era stato determinante per il suo sviluppo affettivo. Egli non ignorava che i genitori venivano a dargli il bacio della buonanotte, prima di andarsene a letto: talvolta gli accadeva di essere ancora sveglio quando loro giungevano ai piedi del suo lettino, parlottando a voce bassa e schermando la candela con una mano, ma perlopiù faceva finta di dormire. A quei tempi divideva la camera col fratello maggiore: anche di questa straordinaria capacità del piccolo di rimanere sveglio, Jacopo, che cascava dal sonno fin dalle sette del pomeriggio e appena posato il capo sul cuscino s’addormentava di schianto, non riusciva a capacitarsi. “Ma non hai sonno?”, gli chiedeva a volte con voce impastata, e non faceva in tempo a sentir la risposta, che già russava.
Ora nella testolina di Giulio maturò pian piano un’idea: sarebbe stato bello se una volta fosse andato lui ad augurare la buonanotte al babbo e alla mamma – essi ne sarebbero stati felici, che a loro mai nessuno andava a dare un bacino quand’erano già rannicchiati sotto le coperte. Così, una sera che era rimasto sveglio, dopo aver finto, come faceva quasi sempre, di dormire nel momento in cui i genitori si erano chinati su di lui, non appena furono usciti dalla stanza si mise a sedere sul letto, spiando la vacillante luce della candela che s’allontanava lungo il corridoio, finché non la vide scomparire dietro l’angolo: quindi contò lentamente fino a centocinquanta, per dare il tempo a babbo e mamma di prepararsi per la notte; quand’ebbe finito, per sicurezza contò un’altra volta; poi si levò senza fare rumore – precauzione inutile, dato che il fratello aveva un sonno pesantissimo – e s’avviò tentoni per il lungo corridoio. Che buio, ora che tutti erano a dormire e le luci erano spente, e che silenzio da far paura, e che freddo sotto i piedi nudi! Per fortuna lui la casa la conosceva a memoria, e sapeva che a metà del corridoio c’era la cassapanca di legno scuro di cui una volta aveva sollevato il coperchio per sincerarsi che non contenesse un cadavere, e vi aveva trovato solo pile di lenzuoli bianchi uno sull’altro; e sapeva a che punto precisamente il muro sporgeva di qualche centimetro sulla sinistra, formando una falsa colonna, contro la quale, se si correva distrattamente, magari con la testa voltata all’indietro, era facile battere una zuccata; e sapeva quando svoltare, e a che punto esattamente si apriva, sul lato destro dell’androne in cui ci si veniva così a trovare, la porta della camera dei genitori. Pertanto, suffragato da queste sue cognizioni e sostenuto da tutto il coraggio che aveva, cercando di non ascoltare i battiti impazziti del suo cuore che stava per scoppiare, giunse alla meta dopo un viaggio che gli parve interminabile.
La porta era socchiusa e di dentro venivano un tenue chiarore e dei rumori insoliti, come di animali, ma soffocati. Giulio esitava. Non sapeva che il babbo e la mamma tenessero animali in camera. Dibattuto tra la paura e la curiosità, il timore di essere rimproverato e il desiderio, invece, di essere elogiato – perché si sa come sono strani i grandi, che a volte ti sgridano per aver avuto un pensiero gentile e a volte ti lodano quando pensi di esserti meritata una bella punizione – il piccolo si appiattì quanto più poté, non osando scostare l’uscio anche di pochi centimetri, per scivolare dentro attraverso lo stretto passaggio. Infine fu nella vasta camera, dove non era mai entrato di notte, tranne forse una volta che aveva avuto la febbre alta e la mamma lo aveva portato a dormire con sé; le persiane erano accostate e attraverso di esse filtravano strisce chiare e luminose – era la luce della luna che rischiarava la stanza. Sulla sua destra l’armadio grande nereggiava, minaccioso: possibile che avesse scelto proprio quel preciso istante per staccarsi dalla parete e crollare al suolo, appiattendolo come un’acciuga? Giulio lo tenne d’occhio finché non fu certo che non pendeva verso di lui – quindi il suo sguardo si spostò in direzione del letto monumentale, entro cui qualcosa ansimava e si muoveva. Possibile che genitori avessero portato in camera Ludovica, la mucca? E l’avessero coricata nel loro letto? Ma no – a un tratto le coperte scivolarono da un lato e Giulio si trovò davanti agli occhi la scena più incredibile, la cosa più inverosimile che potesse immaginare – un animale con più gambe – un piede immenso – mani – e una bianca, lattiginosa massa di carne tremolante… sembrava… sembrava proprio… un sedere: disgustosamente vasto, flaccido, si muoveva ondulando e spargendo intorno a sé un tepore nauseante. Giulio non poté trattenere un sospiro piccolo piccolo – poi si mosse con cautela all’indietro, tastando con le manine aperte fino a che non sentì dietro di sé il legno della porta – gli occhi sempre fissi sull’enorme cosa bianca che non si stancava di ondeggiare e pareva quasi vivesse di una vita propria – spinse all’indietro per aprirsi un varco, strisciò fuori, fu nel corridoio: fatti ancora alcuni passi a ritroso, quando fu certo che là dentro, chiunque ci fosse, non s’erano accorti di lui, si voltò e corse più velocemente che poté, pestando i piedi nudi sui mattoni rossi dell’impiantito, e non si fermò che quando fu in camera sua. Aveva il fiato in gola; si precipitò al letto del fratello e cominciò a scuoterlo.
“Jacopo! Il culo! Jacopo! Ti dico che l’ho visto!”
“Che cos’hai visto, Giulio? Sei impazzito a far questo baccano?”, fece l’interpellato, con la voce ancora impastata di sonno.
“Il culo: ho visto un culo enorme. Era nel letto, te lo giuro”.
“Ma di che culo stai parlando? E in quale letto?”
“Del babbo e della mamma: era nel letto. Un culo enorme. E si muoveva”.
Giulio aveva il pianto nella voce; Jacopo dal canto suo, a dodici anni qualcosa sapeva: ma certo non poteva credere – impossibile! E tuttavia… Non poté trattenersi dall’indagare, mentre una strana eccitazione s’impadroniva di lui e gli metteva un insolito tremore nella voce:
“Ma tu che ci sei andato a fare, eh? Non potevi dormire tranquillo, come fanno tutti i bambini normali?”
“Volevo fargli una sorpresa”, piagnucolò il piccolo.
“Lo sai che non si fanno sorprese ai grandi. Soprattutto non si va in camera loro la notte. Per nessun motivo! E così sul letto c’era un culo che si muoveva! E com’era?”
“Era grandissimo e bianchissimo”, Giulio abbozzò nell’aria il disegno di una specie di collina.
“Faceva schifo”, concluse storcendo la bocca al ricordo. E non ci fu verso di persuaderlo ad entrare nel suo letto: aveva paura, e quella notte e molte altre di seguito volle dormire col fratello maggiore.




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