Da quindici anni sedeva sui gradini di Piazza di Spagna a Roma. Sedeva ogni giorno in un angolo per non disturbare coloro che salivano e scendevano, gravati dai loro pesi. Con i colori dell’animo umano, aveva dipinto il palmo della mano e la tendeva, mentre con l’altra pigiava i tasti di una fisarmonica. Ogni giorno i colori mutavano di tonalità. Anche la musica era quella dell’anima e ogni giorno mutava anch’essa, suscitando la curiosità dei passanti. Sapeva di essere un uomo di nessun valore, che la sua mano era solo un’illusione, come un’illusione era quella creata dalla sua musica. Non sperava che qualcuno le notasse oltre il lasciar cadere distrattamente un sorriso nel cavo della mano. Quindici anni passati su quei gradini, quindici anni di sorrisi ricevuti e dati, parole scambiate con qualche passante abituale, qualche sguardo sospettoso, qualche parola irriguardosa, qualcuno che l’aveva definito un orgoglioso che fingeva. Un’amica gli carezzava le mani. Un amico tentava di consolarlo, accompagnandolo col canto, diffondendo intorno la musica e i colori della mano.
La mano tesa e la musica.
Un giorno non siederà più su quei gradini, ma tutto il mondo continuerà a passare accanto o sopra l’ombra invisibile. Resterà solo una scritta a caratteri piccoli e indecifrabili: il disinganno prima dell’illusione.
Ecco l’immagine della sua ombra dopo anni di accattonaggio durante i quali ha sparso musica e colori sui gradini di quella piazza.





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