Mi inquietava già solamente da fuori, la fabbrica alla fine di Via Cinque Giornate, sarà per questo che ci finii dentro.
Come fantasmi con del blu adosso eravamo, dentro a scarpe pesanti per non lasciarci partire.
Uno mi disse a nome di tutti che dovevo lavorare meno, che altrimenti a loro i capi avrebbero chiesto di lavorare meglio. Uno mi disse che avrei avuto problemi seri se avessi continuato stupidamente in quel modo.
Era una cosa più importante per loro che per me di certo, non avevo il minimo interesse a fare tutto quello in un modo o in quell’altro.
Ma i capi non furono contenti, mi dissero che avrei dovuto lavorare meglio, come facevo prima, anche se ora lavoravo come tutti gli altri a cui nessuno diceva nulla. Uno mi disse che se volevo mangiare ancora dalla loro mano avrei dovuto riprendere a sudare quanto prima.
Scalciandole contro l’ufficio del personale, così mi tolsi le scarpe, per partire, tra i frantumi dei vetri a terra che non riflettevano stupida e falsa carne.
Ieri sono passato di lì, l’ho rivista dopo molto tempo, fantasmi blu con scarpe pensanti addosso, dentro, li ho ricordati uno ad uno, erano sempre gli stessi, gesticolanti come rami d’albero al vento di burrasca, in collera o in giubilo di parole senza alcun senso o scopo, incarniti inebetiti come topi quasi cadaveri tra denti e zampe come giocattoli di un gatto, convinti in eterno come sono di poterla fare franca.
Come un fantasma poggiato al muro sono, senza scarpe bevo una birra e penso di averla fatta franca, non ho il minimo interesse a fare qualcosa in un modo o nell’altro, a parte questo, al tiepido sole.






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