“Canto di Natale” di Dickens è uno dei più famosi racconti ambientati in questo frammento d’anno. Ve lo ricordate, no? Il vecchio avaro, Scrooge, che viene visitato dagli Spiriti dei Natali Passati, Presente e Futuri.

Dico “uno dei” perché, se dal punto di vista letterario si può affermare la sua supremazia sulla concorrenza, ormai cinema e televisione hanno soppiantato la pagina stampata. Un film ambientato a Natale ha un vantaggio sugli altri: le repliche durante le feste, tanti soldini ai produttori ogni anno. Se “La vita è meravigliosa” di Frank Capra aveva un suo senso farlo svolgere in questo particolare periodo, ve ne sono altri che con il Natale c’entrano una cippa. “Una poltrona per due”, tanto per dire. “Die Hard“, cioè “Trappola di cristallo”, con il trucido Bruce Willis e un cadente Alan Rickman. “Mamma ho perso l’aereo”, cioè Die Hard per bambini.

Con questi ultimi il capolavoro dickensiano condivide un’impostazione prevalentemente atea, ma piena di buoni sentimenti. Se la salvezza che interessa a McClane è quella degli ostaggi, Ebenezer Scrooge vuole quella del piccolo Tim, e la propria. Ma non in senso cristiano: che gli sia risparmiato morire male e un avvenire da fantasma. In un certo senso è l’esatto contrario di ciò che avviene nella pellicola di Capra: il regista italoamericano mostra come sarebbe brutta la vita senza il protagonista, lo scrittore britannico com’è brutta a causa del protagonista. Uno fa vedere com’è bella la bontà, l’altra com’è brutto… non si può dire il peccato, perché non viene mai nominato: un comportamento egoistico, non adeguatamente moralistico e buonista.

Il racconto di Dickens è del 1843. In esso già si trovano afflati malthusiani: “Se è probabile che muoia, meglio che lo faccia, e faccia decrescere la popolazione in eccesso“, lo Spirito sbeffeggia Scrooge. Se l’autore rifiuta questa impostazione non è però per un motivo intrinsecamente religioso. Quando i tre Spiriti accennano a Paradiso e Dio ciò avviene solo di sfuggita e incidentalmente, come ci si aspetterebbe da un bravo massone come lo scrittore era. Il sugo è “volemose bene”, uno spottone alla Coca Cola dove tutti si abbracciano felici festeggiando ciò che non si può dire. Cioè un Dio che è entrato nella storia e senza il quale non sarebbero possibili non solo film come “La vita è meravigliosa”, ma neanche Die Hard e Canto di Natale. Non solo per la loro ambientazione, ma perché, prima di quel bambino in quella grotta, duemila anni fa, sacrificarsi per gli altri – per i cattivi, o per chi non conta niente – sarebbe stato impensabile. Figurarsi prenderlo come modo di vivere, il più alto dei sacrifici. “Canto di Natale” piace perché è una redenzione senza redentore, però presuppone una fratellanza umana, una pietà per la sofferenza che non nascono dal nulla, bensì da diciotto secoli di cristianesimo.

In queste nostre vite sempre più vuote di senso, il Natale è “il giorno in cui sono tutti più buoni”, senza ricordare perché. Forse ci vorrebbe uno Spirito dei Natali Futuri a mostrarci come diverrà il mondo una volta dimenticata la fonte della bontà; ma, se la dimentichiamo, non ci saranno più Natali, solo lo spirito dell’Inverno, grigio e freddo e senza luce. Nessuna redenzione; al limite un po’ di shopping.

Nel mentre, Buon Natale.

[ BlogLink : Berlicche ]

2 risposte a “Lo Spirito dei Natali Futuri by Berlicche”

  1. Buon Spirito dei Natali Futuri. Auguri.

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    1. Auguri Marina! Buon Spirito dei Natali Futuri anche a te.

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