Marisa Salabelle (estratto dal romanzo L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu, Piemme, 2015)

In quell’anno, il 1993, la situazione politica dell’Italia sembrava sull’orlo del tracollo. Già da un anno era scoppiata quella che sarebbe stata poi chiamata Tangentopoli, in poche parole era venuto fuori ciò che da tempo si sapeva e cioè che la nostra classe politica era composta al novantanove per cento di farabutti, corrotti, ladri, mafiosi e amici dei mafiosi. Giorno dopo giorno venivano pubblicate sui giornali storie di soldi che giravano di mano in mano, uomini politici venivano convocati in tribunale e magistrati senza peli sulla lingua diventavano famosi. In luglio addirittura successe l’impensabile, e cioè la Democrazia Cristiana si sciolse. Una cosa inimmaginabile, l’Italia senza la Democrazia Cristiana, milioni di elettori senza saper per chi votare, migliaia di compagni senza sapere con chi prendersela. Migliaia, perché ormai i compagni erano ridotti a poca cosa, come Efisia aveva dovuto constatare già da tempo. Improvvisamente le principali città italiane si riempirono di strani cartelloni su cui erano raffigurati bambini piccoli, con simpatiche faccine, su sfondo azzurro, e una scritta che diceva Fozza Itaia. Sembrava una pubblicità di pannolini, o di omogeneizzati, o forse della Nazionale, ma era un anno dispari, non c’erano mondiali né europei. La gente passava e sorrideva vedendo le smorfiette dei bambini, scuoteva il capo e diceva questi pubblicitari, quante ne inventano. Alcuni arrivarono a ipotizzare che si trattasse di una forma di incoraggiamento all’Italia, perché si tirasse fuori dai casini in cui si trovava, una campagna di solidarietà finanziata da qualche anonimo filantropo o patriota. Nessuno era arrivato a immaginare che si trattasse delle prime avvisaglie della nascita di un nuovo partito. Quando il 26 gennaio 1994 sugli schermi di tutti i televisori apparve Silvio Berlusconi, il manager delle televisioni e del Milan, tutto serio a una scrivania, con sullo sfondo uno scaffale pieno di libri e foto incorniciate, il vestito blu, le mani posate educatamente sul piano del tavolo, a Efisia venne in mente la cugina Ada che quando era piccola la rimproverava per le sue maniere non del tutto conformi al galateo: mai così, le diceva poggiando a mo’ d’esempio i gomiti sul tavolo, poco così, con le braccia lunghe distese, sempre così, con le manine appena appena posate sul piano come moncherini, proprio come erano posate in quel filmato televisivo le mani di Silvio Berlusconi mentre diceva l’Italia è il paese che amo. In Italia mai nessuno, a memoria di Efisia, aveva mai detto una cosa simile. Era una frase da film americano: l’America è il paese che amo, ecco, suonava molto meglio, lo poteva dire James Stewart, o John Wayne, forse lo poteva dire anche il giovane Tom Cruise, ma non un italiano. Qualche anno prima Francesco De Gregori aveva osato scrivere una canzone intitolata Viva l’Italia e i suoi fan per poco non se l’erano mangiato vivo. Poi la canzone se l’era rubata Bettino Craxi per fare pubblicità al suo partito, ma non gli aveva portato fortuna dato che il glorioso Partito Socialista, dopo esattamente 100 anni dalla sua fondazione,  nel 1992 si era dovuto sciogliere per l’eccessiva presenza di banditi al suo interno.

Così Silvio Berlusconi dopo aver detto che l’Italia era il paese che amava aggiunse che aveva deciso di scendere in campo perché non voleva vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare. Per questo aveva fondato un partito nuovo che si chiamava Forza Italia, proprio come allo stadio quando si inneggiava alla Nazionale. Ma dai, dicevano tutti, almeno tutti quelli che Efisia frequentava, come si fa a fondare un partito così, da un giorno all’altro, come si fa a chiamarlo Forza Italia, e poi, dai, Berlusconi, e la cosa più buffa era che Forza Italia aveva creato i gadget e il kit del candidato, con le pennine, le spillette ed altre cose ridicole. Ma dai! E invece Forza Italia dopo due mesi dalla sua fondazione vinse le elezioni e Silvio Berlusconi diventò presidente del Consiglio.

3 risposte a “La discesa in campo by Marisa Salabelle”

  1. Devo confessare che per scegliere l’immagine per questo articolo di Marisa ho guardato tanti graffiti e ho sorriso tantissimo, alla fine ho scelto questa “classica” Saluti e buona lettura. j re crivello

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  2. […] ttps://masticadoresitalia.wordpress.com/2024/01/26/la-discesa-in-campo-by-marisa-salabelle/ […]

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