– Questa festa fa schifo!

 

Esordisce così la piccola, dopo due ore buone di silenzio, interrotte a cadenza di dodici minuti a ogni cambio di drink tra le lunghe dita laccate di rosso. La invitano a bere e ballare tutti gli uomini del locale, incuranti della mia presenza, troppa è la fame.

Allora le stringo i fianchi a mo’ di morsa ma la piccola, non mi illudo, mi assomiglia: anche lei non appartiene a nessuno.

 

– Andiamocene allora, hai promesso di posare per me questa notte… se sei troppo ubriaca questi fari che ti ritrovi piantati in fronte mia bella Lola non avranno la stessa luce. Mi accarezza il cavallo dei pantaloni, illuminata da quello che legge come un complimento ma che nelle mie intenzioni non era niente di più che una costatazione. Le donne belle sono talmente stupide!

– Andrew, andiamo a scattare queste benedette foto… ma a letto con te sappi che non ci vengo. 

Sorride mentre balla sulle note di Bela Lugosi’s Dead.

Passiamo alle presentazioni, per quelli che si troveranno un giorno tra le mani i miei diari: mi chiamo Andrew Miller, ho più di trent’anni ma meno di cinquanta, vengo dal grande stato di New York e ho ancora tanti capelli e dicono un certo fascino. Specie in questa parte di mondo: sto girando l’Europa per lavoro in sella alla mia motocicletta scura.

Sono un fotografo e da qualche settimana sono arrivato a Berlino. L’anno è il 1982, i crucchi sono in fermento come la loro miglior birra: producono ottima musica, escono bei film, la moda anche qui risente di un’ossessione per il punk. C’è persino un’architettura niente male, figlia evidente del rigoroso passato nazista, ma guai a farlo notare ai tedeschi.

A Berlino sembrano aver dimenticato che sugli stessi marciapiedi dove oggi si balla, ci si sballa, si ama la carne e si affronta la vita soltanto meno di mezzo secolo fa sono stati teatro di sangue e musica sinistra: la gente calpestava altra gente, vestendosi di bandiere nere e ideali malsani. Io sono un fotografo di moda e odio qualsiasi tipo di guerra: da quelle sui libri di storia ma lontane nella memoria finanche quelle per l’esistenza.

Come quella che io e la piccola Lola stiamo vivendo questa notte: uscire dal locale è un’impresa infernale, sento i pensieri delle persone camminarmi sulle spalle. Usciamo. Lola mi tiene per un braccio, prendiamo un taxi per raggiungere l’appartamento che ho affittato a Kreuzberg. Entrati in casa, punta dritto al frigorifero e ne tira fuori una delle mie birre scadenti, il tempo di sistemare macchine e luci e mi si para davanti completamentenuda con i lunghi capelli neri che le stringono i seni come serpenti.

– Nessuno ha detto che dovevi spogliarti.

– Voi uomini ci volete sempre nude, anche quelli gentili come te Andrew Miller.

Le lettere del mio nome sillabate dalla sua bocca tedesca mi provocano un misto tra disgusto ed eccitazione: è nuda e io sono un uomo, meno gentile di quanto pensi la piccola mente della piccola Lola.

Il servizio fotografico dura tanto: tre pacchetti di sigarette in due, una cassa della mia birra scadente e un pompino. Sono un uomo e Lola è una donna: non biasimo e credo che non lo farà nemmeno chi leggerà i miei diari un giorno, quella che è una semplice questione di biologia.

Ad eccezione di quell’unico atto di sesso orale, le mie mani non hanno toccato Lola, mi sono limitato a fotografarla.

Quando la pellicola sta per terminare, Lola fumando la lunga sigaretta bianca sorprende la mia secolare misoginia con poche battute:

– Mi hai fotografata, sei venuto… dove sono i miei soldi?

Silenzio.

– Tieni, sono trentacinque marchi, il lavoro extra te lo valuto quindici biglietti se sei d’accordo.

– Non siamo a scuola e non sono una puttana Andrew Miller… e tu sei meno gentile di qualche ora fa.

– Sei ebrea, qualcuno direbbe che è la stessa cosa di essere una puttana.

Il silenzio questa volta tappa la bocca di lei, la fronte le si corruccia alla ricerca di un pensiero che sbrogliasse la mia identità, le intenzioni dietro la lente della macchina fotografica.

– Chi sei davvero Andrew Miller?

Come posso spiegarle della mostra che ho in mente da anni di allestire? Della fascinazione che in me hanno sempre suscitato i racconti di mio padre, soldato americano, sullo strazio che ha visto nei campi di concentramento? Io voglio una mostra che metta a nudo l’orrore vissuto da uomini, bambini e dalle donne. Soprattutto le donne.

– Sono un fotografo di una rivista che a New York si occupa di storia e costume… voglio mettere su una mostra Lola, sui figli, i nipoti nel tuo caso, dei sopravvissuti. Per questo non ti volevo nuda…

– Cosa te ne fai delle foto di figli e nipoti di ebrei? Pensate che ci trasciniamo il dolore dei nostri padri negli occhi?

Un’altra osservazione piccata, mi sorprende.

– Sì, è questo il senso della mostra. Metti una firma su queste carte e tra qualche mese da New York ti arriverà un invito e il biglietto aereo… pagato.

La piccola mi scruta con aria incerta.

– Di marchi me ne dai cinquanta, sono ebrea e i miei pompini valgono molto di più.

Le sorrido e gliene mollo cento.

– Addio fotografo, spero che il mio culo ti faccia diventare ricco… voi americani pensate solo ai soldi. Magari la mia faccia finisce in una mostra… ammesso che quella che mi hai raccontato fosse una verità.

– Posso baciarti?

Finiamo per fare sesso, la scopata più trascendentale di tutta la mia vita. La notte lascia posto al giorno e di Lola in casa non c’è più traccia. Mi accendo una sigaretta, rifletto su quella donna, strega e bambina ebrea.

Arrivo al salotto, sembra tutto in ordine finché non guardo per terra: tutti i negativi sono a pezzi sulla moquette, ne resta soltanto una in cui l’anima per uno strano gioco di luci pare uscirle dal corpo.

Il lavoro di una notte distrutto, dovrei essere arrabbiato ma il sapore della scopata più incredibile di tutta un’esistenza rende l’amarezza un po’ più dolce.

Mi concentro sull’unico superstite, vicino al pacchetto di Marlboro ancora intatto c’è un biglietto:

 

Fotografo, io dentro gli occhi non porto l’orrore degli antenati che hanno vissuto i campi: io sono tutte le donne, quelle massacrate, quelle toccate, violentate, umiliate e

fatte a pezzi dagli uomini, anche quelli gentili come te.

Il tuo mondo mi disgusta, io sono altro, sono tutte le donne.

Spero che questa fotografia possa regalarti il successo, finire in una mostra se è quello

che vuoi. Soprattutto spero che guardandola, tu ogni giorno possa imparare qualcosa.

Che ti sia di ispirazione.

Lola: una donna, un’ebrea, una puttana, una figlia, una madre… un fantasma.

Tengo quell’unico negativo tra le mani, incredulo, tanto quanto lo sarà chi un giorno leggerà i miei diari. Non appena letta la parola “fantasma” i pezzi dei negativi spariscono inghiottiti dalla moquette. Cento marchi sbucano dalla tasca dei pantaloni e il letto non testimonia la notte trascorsa con Lola. L’immagine cambia sotto i miei occhi.

La ragazza, imprigionata nella pellicola, si trasforma: ho visto mia madre, Sylvie e Aurélie, ho visto tutte le donne del mondo e tutte le loro storie passarmi tra le mani in pochi secondi.

L’immagine si stabilizza in quella di una ragazza che con i seni nudi mi guarda magnetica e senza paura. Anche le parole dietro il biglietto mutano, compare una sola scritta: CERCAMI.

Come testimoniano le altre pagine dei miei diari, dalla notte di cui ho raccontato, io Andrew Miller non faccio altro che cercare dentro ogni donna quel fantasma, un pezzo di Lola.

Sono un fotografo di moda, cerco il bello per antonomasia, mi piacerebbe ritrovare questa donna e lasciare per una volta nella vita che sia qualcun altro a scavare dentro la mia anima e che non debba essere sempre io a provarci, fallendo, con al collo il cappio di questa maledetta macchina fotografica.

A.A

[ BlogLink : Volevo essere un’astronauta ]

3 risposte a “Bela Lugosi’s Dead – Bauhaus. By Aurelienne”

    1. Vero? È stata la mia stessa reazione quando ho letto questo racconto, e non solo a questo.

      Piace a 2 people

  1. Molto inquietante, ottimo racconto!

    Piace a 3 people

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