Questo cuore batte dunque ancora? Come? Perché? Sentitelo. Batte come nulla fosse. Indefesso, ostinato. Di notte, c’è solo lui. Nitido, plastico, con un bell’attacco e un riverbero pulito. Un battito rotondo.
Dunque questo cuore batte ancora. Nella notte fonda della mia anima, con la coscienza battuta da tempeste venti e fortunali, il mio cuore batte ancora. Nel ghiaccio assoluto del mio petto abbacchiato, lui batte. Indefesso, ostinato. Se uno non ci badasse, se uno non sapesse, sembrerebbe battere come nulla fosse. Ma a me non la dà a bere. A me non mi inganna. Batte forte, bello nella sua costanza. Suona persino bene: rotondo, plastico. Proprio un bel cuoricino, un cuore d’oro. Ma io lo sento. Non è facile per via di quel suo attacco così definito, scolpito evidentemente da un buon tono muscolare, da una fibra di qualità null’affatto scarsa. Ma non basta. Non mi inganna a me, no, non me la dà a bere. Io la sento: è sottilissima: è un tremolio fioco, un trillo brevissimo, quasi involontario. Un arabesco fuori tono: un’incrinatura.

Batte forte, bello, ma è calante. È un suono calante. È calante, signori. Je suis desolé. Proprio un bel cuore, un bel cuoricino tutto d’oro. Ammirevole, davvero ammirevole, soprattutto pensando a tutto ciò che ha passato e fatto passare. Ma è incrinato, calante. È un cuore disperato. Sì, un impegno ammirevole: ammirevole davvero questa sua indefessa ostinazione, ma è solo buon viso a cattivo gioco. Un tentativo maldestro, anche squallido se vogliamo: di ingannare l’ascoltatore. È un cuore in difficoltà, disperato: ha i giorni contati, è al capolinea. Batte, certo, ancora, con quel suono dell’attacco definito e del corpo rotondo; batte forte, sì, costante, certo merito del tono e delle fibre dei muscoli, ma è finito. È incrinato. Il suo sforzo, la sua ostinazione indefessa sono senza dubbio ammirevoli, ma è penoso. Diciamocelo, una buona volta. Batte, corre: ma dove va?
Perché questa ostinazione? Perché questa perseveranza? Cosa vuole dimostrare? Cosa c’è mai di nobile in questa volontà di andare avanti? Non capisce quanto sia penoso tutto ciò? Perché non farla finita una buona volta? Mai una pausa, mai fermo. Sono anni che corre… basterebbe fermarsi un attimo, solo un istante. Perché non godersi una pausa, un break? Vivere la quiete, sperimentare la stasi. Non è meglio fermarsi ora, ora che l’incrinatura è ancora microscopica, molecolare? Perché usurarla fino a farne uno squarcio? Perché sbragare? Meglio fermarsi ora, prima che la nota cali fino a stonare e gli applausi incerti si facciano fischi. Meglio ricordarlo così, giovane e forte, no?
No. Correre, battere, senza mai fermarsi. È ancora lì che si sfianca, a sfiancarsi. Lo sento, come non sentirlo nel cuore della notte? Si starà forse facendo beffe di me? Corre come se lui non c’entrasse nulla. Come ignaro, come non fosse l’unico vero responsabile di tutta questa faccenda. Cosa vuoi dirmi? Cosa dimostrarmi? Che insieme ce la possiamo fare? Che vile! Che viltà! Dovreste vedere come batte forte, addirittura all’impazzata, quando mi sveglio tra le lacrime, un bagno di sudore, con la lena spezzata, in preda a sogni nefandi, incubi sì vividi e raffinati da essere più veri del vero! Batte alla velocità della luce, come volesse schizzare fuori da questo corpo e non farsi mai più vedere. Non c’è nulla di nobile, in quella sua indefessa ostinazione. Non è che viltà! Pura viltà! Tutta quella cura di sé, per sé, e poi si incrina e ci trascina alla follia, e batte per dirci che c’è ancora tempo, c’è ancora spazio. Lo voglio vedere quando tutti sapranno… anzi, quando vedrà che tutti sapranno. Si farà nero! Magari sarà proprio lì che si deciderà una buona volta…

Bel coraggio! Tireremo tutti un bel sospiro di sollievo. Che bella uscita di scena: devo dire, coerente con tutto il percorso. E rideremo tutti davanti alla lapide, davanti all’epitaffio. Visse d’amore, d’amore muore. Ah! Che Buffonata! Muore d’amore… ma per carità! Per pietà! Muore di viltà! di abiezione! Come un codardo! Un cuore d’oro? Ma per favore, facciamola finita una buona volta! Era un cuore di pietra, un cuore di ferro, un cuore di cucciolo! Un cuore malfermo, d’altri tempi! Batteva, sì, correva, ma fuori tempo, fuori dal tempo e dai tempi. E poi, diciamocelo, è uscito ben diversamente da com’è entrato. Una corsa sbagliata, inutile. O peggio: dannosa. Ha corso per chi, per cosa? Per sé, nient’altro che per sé, senza badare a nulla o nessuno. Ha mai pensato a noi? Non mi pare! E che dire degli altri? Preferisco tacere, che mi vergogno. Ha pensato sempre e solo a sé stesso. Ci provi a dire che abbiamo goduto anche noi delle sue corse. Certo, a volte, ma solo perché inevitabile, una mera fortuità, una casualità che ora ci rinfaccia persino. Perché è abietto e fuori controllo! È un pazzo! Parla a vanvera, preda delle sue corse, del divenire di cui è schiavo ed emblema insieme. Abominevole, disgustoso. Un’ignominia…
È più sereno, ora. I venti del nord hanno corso il loro spazio, cedendo il posto al sole e lasciando l’aria fredda. Lui batte ancora, indefesso: neanche a dirlo. Un po’ abbacchiato a dire il vero, ma sempre ostinato e indefesso. Dove va, non è dato sapersi. Il tepore, il sereno ci ingannano un po’ e ci restituiscono un po’ di fiducia. Se penso a quanto siamo deboli, mi viene da piangere, mi commuovo. Buoni, ma ingenui. Sì, la sua è una corsa ingenua. Fa tenerezza. Non è diverso da noi, anzi. È proprio come noi. In fondo, siamo una cosa sola. Non siamo una cosa sola? Non è così? Dobbiamo restare uniti. Forse ha ragione lui. Forse bisogna correre sempre e comunque. Ci sarà tempo per riposarsi. E poi è bello avere fiducia. Però… io quell’incrinatura la sento. Non me la sto inventando. Me la sto inventando? No, non la invento. C’è. Impossibile non udirla. Una volta udita, non si può fare a meno di distinguerla. È ogni giorno, già ogni ora più evidente, più presente. E il battito cala. È un calo impercettibile, ma cala. Figuriamoci, è ancora bello e vigoroso, ma incrinato e calante in modo inesorabile. Se il suo compito è correre ostinato e indefesso io devo osservarlo, sentirlo, parlargli. Corra pure, ma deve sentire il mio fiato sul collo, sapere che io so. A ognuno il suo. Non posso non sapere quel che so. Come lui non può che correre, battere.
Stiamocene così, uniti e sfasati, consapevoli delle nostre fratture, buoni e pietosi con le nostre debolezze. Chissà… nulla è mai certo, con lui. Magari decide di fermarsi. Quando meno te lo aspetti. Magari in quel breve spazio di sonno rubato agli incubi. Sarebbe bello.
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