By Camilla Ugolini Mecca
Cosa c’era prima che esistesse qualunque cosa? Prima di quell’immensa esplosione che oggi pensiamo essere stata all’origine dell’Universo, circa 15 miliardi di anni fa?
Dal momento in cui ha cominciato ad avere coscienza di sé, l’essere umano si è sempre posto questa domanda. Cosa c’era, prima di me?
Nella Grecia antica, una delle storie sulle origini del mondo ci è stata tramandata da Esiodo, poeta e pastore vissuto nell’VIII secolo a. C. Nel cuore della Beozia, ai piedi del monte Elicona, Esiodo scrisse la sua “Teogonia”, il grande poema sulla nascita degli Dei.
“Dunque, per primo fu il Chaos”, così esordisce l’opera. Secondo Esiodo, prima di tutto, prima di ogni forma, c’era Chaos. Non si tratta, per lui, di una vera e propria divinità, bensì di una voragine immensa, infinita, scura, un vuoto spalancarsi che tutto contiene. Una matrice indistinta di infinite possibilità.
Nel suo “L’universo, gli dei, gli uomini”, così la descrive Jean-Pierre Vernant, antropologo e storico delle religioni: “un punto di caduta, di vertigine e di confusione, un precipizio senza fine, senza fondo”.
Dopo Chaos verrà la Terra. “Gea dall’ampio petto”, la definisce Esiodo. È un luogo compatto, solido, sicuro. Tutto fuorché indistinto. Gea appare subito stabile e nutriente, uno spazio in cui gli uomini e gli animali possono muoversi e prosperare. È quella Terra che Esiodo conosce bene, e sulla quale suo padre è approdato dopo aver cercato fortuna in mare.
E poi, per terzo, sorge Eros, l’Amore primordiale. Secondo Vernant, non è l’Eros giovinetto descritto nella favola di “Amore e Psiche”. È il vecchio Amore, un’energia più antica, innocente, immensa.
Ma torniamo a Chaos. Pur essendo uno spazio neutro, non è sterile. È in grado di generare. E proprio da Chaos nasce Erebo, il buio delle profondità, e poi Nyx, la Notte.
E ancora, dagli amori di questa progenie oscura nasceranno Hemera, il Giorno, ed Etere, il cielo altissimo, dove l’aria è più pura.
Dal Chaos quindi nasce il buio, dal buio sorge la luce. Gli opposti si susseguono, uno dopo l’altro, come a dirci che Chaos, il luogo originario, contiene proprio tutto.
L’evoluzione (o involuzione) del linguaggio ha attribuito alla parola ‘caos’ una serie di significati tendenzialmente negativi. Comunemente questo termine ha finito per equivalere a disordine, confusione, disorientamento. Non vi è nulla di fecondo, nulla di luminoso, nel nostro caos.
Usiamo questo termine in politica, in economia o nei fenomeni sociali, ed è una parola che ci fa tremare. ‘Le borse nel caos, una nazione nel caos, la famiglia nel caos’.
Scrive il filosofo Umberto Galimberti ne “Gli equivoci dell’anima”: “la radice indoeuropea della parola cháos è chá, che interviene in vari gruppi di parole quali chásco, cháino che significano ‘mi apro’, ‘mi dischiudo’ “.
E questa radice etimologica ci costringe a pensare che il caos non abbia nulla a che fare col disordine, ma solo con ciò che vi intuivano gli antichi: una dimensione di apertura, uno spazio di infinite possibilità. Del buio più profondo come della luce più pura.
Designando questo spazio infinito come l’origine del tutto, Esiodo ha anticipato – continua Galimberti – “quella che poi sarà la prima categoria filosofica: la totalità, ovvero la dimensione che non lascia fuori di sé nulla e che perciò include ogni possibile situazione cosmica, umana e divina”.
Caos è dunque come una enorme bocca senza fine, che tutto può generare e in cui tutto si riassorbe. Un immenso utero senza sesso. Un incommensurabile mistero.
Se pensiamo a un progetto che ci sta a cuore, all’inizio c’è sempre il caos: tutto è indistinto, vago, e in verità tutto è possibile. C’è un’intuizione indefinita, che non sappiamo bene da dove sia nata o come. Da un luogo oscuro di noi, in un istante impossibile da catturare, che non potevamo immaginare.
Questa intuizione aerea ha bisogno di Terra, di un luogo solido su cui planare, di una pista stabile d’atterraggio. Ha bisogno di Eros, dell’amore che muove perché diventi forma. Ha bisogno di buio silenzioso per venire alla luce, proprio come qualsiasi vivente.
La nostra vita intera si manifesta in una danza costante di vuoto e di forma. Il nostro corpo invecchia, gli amori se ne vanno, il lavoro cambia, le persone muoiono o si allontanano.
Le forme finiscono, e quando finiscono a volte è così forte l’impatto del loro cessare che precipitiamo nel Caos. Ed è proprio lì che dovrebbe soccorrerci la sua etimologia.
Voragine, apertura infinita, mistero che si dischiude. Spazio aperto originario, che sottende ogni nascita, ogni possibilità.
Quando tutte le forme che abbiamo intorno sembrano finire, finiscono davvero? Oppure ritornano a quell’apertura tutto va a riassorbire, per poi produrre altro, in un movimento costante di vita, morte e rinascita?
Dalla bocca aperta di un vulcano esce lava incandescente, calore, roccia fusa che diventerà terra fertile. Se ci fermiamo proprio lì, a contemplare questa immensa fucina in tutta la sua meraviglia, mai ci verrebbe in mente di chiamarlo ‘disordine’, eppure è una voragine, grandiosa, pericolosissima.
Cosa ci accadrebbe, allora, se non etichettassimo il vuoto che segue ad una fine come confusione o smarrimento, se conservassimo in noi lo stesso stupore che ci attraversa dinanzi ad un fenomeno naturale di potente bellezza?
Quando la parabola di un evento comincia a discendere, possiamo provare a restare seduti sull’orlo della nostra vita, come su un baratro, senza tentare disperatamente di trattenere ciò che è pronto a finire.
La vita, lì, si sospende, si chiude per un attimo o forse per un secolo, ma è già pronta a riaprirsi. Perché in noi permane la memoria di quell’immenso spazio sempre aperto, senza fine alcuna, che è il Chaos primigenio. Ed è proprio da lì che incessantemente, qualcosa è pronto a rivelarsi.

Camilla Ugolini Mecca nasce a Verona nel 1971, dove si laurea in Lettere Moderne. Mamma di un ragazzo di 13 anni, svolge la professione di Consulente e Editor.
Nel 2003 pubblica con Liberty House il saggio “Ambigue stanze – Un itinerario nell’opera di Antonio Possenti”. Nel 2007 il racconto “Il paradiso è un cul-de-sac” vince il concorso “Pubblica con noi” indetto da Fara Editore. Nel 2021 pubblica il suo primo romanzo, “Il destino dell’onda”, edito da Il Falò. Nel 2022 ha vinto – in ex aequo con Natascia Ancarani – il concorso Faraexcelsior 2022, con il romanzo “Tu sorgerai di nuovo”, pubblicato da Fara Editore. Il romanzo ha vinto il terzo premio al Concorso “L’Azalea” a Roma e il primo premio per il Romanzo storico alla XI Edizione del Premio Letterario Internazionale “Città di Sarzana”. Nel 2023 la sua prima silloge poetica “Tutto il resto mi sfugge” è stata selezionata nell’ambito del Concorso Faraexcelsior 2023 e poi pubblicata da Fara Editore. Attualmente sta scrivendo il suo terzo romanzo, cura il suo blog camillaugolinimecca.blogspot.com e collabora con Masticadores Italia.





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